I CANNIBALI DELLO YACHT MIGNONETTE

I CANNIBALI DELLO YACHT MIGNONETTE

Quale incubo più oscuro può esserci se non dover scegliere sulla vita degli altri? A Londra, sul finire del 1884, ci fu uno dei processi che fece parlare molto i giornali: i cannibali dello yacht Mignonette.

La storia potrebbe benissimo essere stata scritta da Edgar Allan Poe se non fosse pura realtà. Nella primavera del 1884 un ricco australiano, visitando l’Inghilterra, decise di acquistare uno yacht che si chiamava “Mignonette”. Poi assoldò un capitano, Tommas Dudley e gli chiese di portarlo in Australia. Questi raccolse una ciurma di tre persone: Edwin Stephens come secondo, il marinaio Edmond Brooks e un giovane mozzo di nome Riccard Parker. Partirono e agli inizi andò tutto bene fin tanto che non affondò la nave e dovettero sopravvivere in una scialuppa per settimane, senza cibo e acqua. Erano sopravvissuti tutti e quattro ma quando furono tratti in salvo, erano rimasti in tre. Leggiamo nella testimonianza di Edwin quei terribili momenti

“Ho 30 anni e sono stato in mare 30 anni, avendo udito che il capitano con il cutter La Mignonnette partiva per l’Australia diretto a Sidnay, mi arruolai per fare con lui il viaggio. L’equipaggio consisteva del capitano, di Stephens, di un giovanetto di 17 anni, di nome Riccardo Parker, e di me. Partimmo da Southampton e avemmo bel tempo nel primo periodo del viaggio. Giunti a Madera, rinnovammo le provvigioni: verso giugno, per altro, il mare si fece cattivo, ed il 5 luglio, durante una spaventosa burrasca, il legno si sfasciò, e a mala pena ci potemmo salvare nell’unico battello che avevamo, e dove fummo in tempo a porre solo sue stagnate di rape e un cronometro. Diluviava, e il battello ove eravamo entrati era quel ricolmo d’acqua piovana, unica che avevamo per dissetarci. Non toccammo le rape per tre giorni, e nel quarto e quindi vedemmo una tartaruga, riuscimmo a prenderla e bevemmo il sangue, quindi la mangiamo e nei susseguenti giorni ci sfamammo con le rape, che presto finirono. Si rimase una lunga settimana senza prendere altro, solo ci nutrimmo con qualche rimasuglio di rape e qualche goccia d’acqua piovana. Alla fine del settimo giorno, il capitano accennò che meglio sarebbe stato di tirare a sorte chi dovesse morire per far vivere gli altri, e lo ripetè varie volte. Il ragazzo stava, compatibilmente alla trista nostra sorte, assai bene; ma alla proposta del capitano non rispose e co si si giunse al sedicesimo giorno quando nella notte, il giovane Parker si ammalò, tanto più che aveva tentato di bere un poco d’acqua di mare. Si tornò allora a parlare della proposta del capitano, e prevalse per allora la risoluzione di morire tutti assieme. Al diciannovesimo giorno il capitano, disperato, dichiarò che bisognava dirlo una volta per sempre. Ne io ne l’altro marinaio Stephens, che stava steso accanto a me, rispondemmo; il povero ragazzo era sdraiato nel fondo del battello; sembrava assonnato. Noi ci guardammo in viso; a male pena potevamo parlare, estenuati come eravamo, ed a mala pena muoverci, avendo gonfie e come paralizzate le gambe, quando io dissi: a Domani, se Dio viole, vedremo qualche vela. Il giorno appresso, perduta ogni speranza di essere da qualche bastimento soccorsi, si tornò a parlare di sacrificare uno per il bene degli altri. Il capitano domandò a Stephens se aveva famiglia, ed ebbe in risposta “Ho moglie e cinque figli” e Dudlay interrogato, replicò che aveva moglie e tre figli. Io pure avevo numerosa famiglia, tanto che, dopo queste repliche, i nostri occhi si rivolsero su quel povero giovane che, tenendo le braccia conserte sotto il capo, era più morto che vivo, e da più giorni non prendeva parte alla nostra conversazione. Questi sguardi dissero tutto. Il capitano allora si pose in ginocchio presso il ragazzo, noi facemmo lo stesso, e invocammo tutti il perdono di Dio per male che andavamo a commettere; il capitano quindi si chinò sul ragazzo, dicendoli: Parker, Parker è giunta la tua ora”. “E perchè?” rispose il povero giovane, io con l’altro ci trascinammo dall’altro lato del battello, udii quindi un piccolo grido e svenni.

Scialuppa della Mignonette

La scialuppa della Mignonnette

Indi a poco, aperti gli occhi, vidi che Parker era morto e scorsi il capitano e Stephens che gli succhiavano il sangue da una ferita al collo. Datemene qualche goccia, gridai io pure, e lo bevvi. Cosi dissetati orribilmente si, ma dissetati, si senti maggiormente la fame, e il capitano spogliò quindi il cadavere, ene tolse il cuore e il fegato che ci dividemmo, in seguito mangiammo altre parti di quel corpo, e il quarto giorno vedemmo davanti a noi un bastimento. Facemmo con gli abiti del povero Parker i segnali e fummo soccorsi e ricoverati a bordo dove furono tratti pure i miseri avanzi di Parker.”

Il Mignonnette era partito il 19 maggio e venne affondato dalla tempesta il 5 luglio, furono recuperati da una nave di passaggio, il Montezzuma, tra il 26 e il 27 luglio al largo di Rio de Janeiro. Il 12 dicembre del 1884 dopo un processo presso il tribunale di Londra, vennero condannati alla pena di morte il capitano Tommas Dudley e Edwin Stephens per l’uccisione del povero mozzo. La pena fu successivamente commutata in sei mesi di carcere visto come l’opinione pubblica si era schierata a favore dei naufragi.

Inserito da Cristina Genna Blogger

 

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