Il mistero delle Ceneri Perdute di Jacques De Molay

Il mistero delle   Ceneri Perdute  di  Jacques De Molay

Tracce di un passato dimenticato stanno lentamente riemergendo dagli abissi della storia.
Dopo oltre sette secoli, l’Ordine dei Cavalieri Templari non ha smesso di affascinare ed ammaliare schiere di curiosi e studiosi in tutto il mondo.
Sono ancora molte le domande senza risposta che riguardano questo ordine cavalleresco, enigmi che hanno percorso il tempo senza trovare una chiarificazione definitiva.
Per quanto ‘sfruttati’ e manipolati negli ultimi due secoli, i Templari nascondono ancora frammenti di conoscenze perdute che lentamente la storigiografia sta recuperando dalle nebbie del tempo.
Tra i temi più affascinanti, e meno dibattutti, riguardanti il loro epilogo troviamo alcune frammentarie notazioni storiche relative all’ultimo Gran Maestro dell’Ordine, Jacques de Molay, e al trafugamento delle sue ossa, successivamente al rogo che lo martirizzò, per conservarle come reliquie in ‘luoghi santi’.
Tra i primi a renderne memoria troviamo ‘lo storico dei grandi’, Giovanni Villani che nella sua Nova Cronica (Libro IX, cap. xcii), scritta tra il 1322 e il 1348, quindi molto vicina ai fatti che ripropone, afferma senza mezzi termini “…è nota che la notte appresso che’l detto maestro e’l compagno furono martorizzati, per frati e altri religiosi le loro corpora e ossa come reliquie sante furono ricolte, e portate via in sacri luoghi…”.
Questa notazione compare anche nel testo Grandes Chroniques de France[1] in cui vengono dedicate quattro righe all’evento ma in cui viene specificato che “… le loro ossa furono bruciate e ridotte a polvere”, quasi come se il re e i suoi emissari avessero avuto paura che una evenienza come quella descritta dal Villani fosse potuta occorrere veramente.
Ma forse le guardie non intervennero così velocemente! Nella ricerca su questo affascinante tema, storia e leggenda sembrano fondersi assieme delineando un quadro quantomeno suggestivo e ancora tutto da approfondire.
Jacques de Molay, assieme al precettore Geoffroy de Charny, fu giustiziato al rogo sul lato occidentale del Pont Neuf in un appezzamento di terreno denominato Île de la Cité posto sotto i giardini della residenza reale di Filippo il Bello (oggi palazzo Vert-Galant)[2], terreno allora di proprietà e sotto la giurisdizione agostiniana dell’abbazia di Saint Germain des Prés[3].
Tale ‘utilizzo’ cruento venne considerato dai monaci dell’abbazia fin da subito come una usurpazione territoriale e giurisdizionale molto grave al punto che lo stesso regnante si troverà costretto a scusarsi e a risarcire del danno la collegiata[4].
Il possesso da parte di un ordine religioso della terra in cui era avvenuto il martirio risulta di estrema importanza, tale condizione avrebbe infatti potuto legittimare i religiosi a favorire un ‘trafugamento’ notturno lontano dagli occhi indiscreti delle guardie reali.
Rileggendo attentamente le parole del Villani, il riferimento a “frati e religiosi” che recuperarono le loro ‘corpora e ossa’ può essere ancora più emblematico acquisendo ora un senso e un significato precisi e trovando una giustificazione nell’occultazione di tali resti lontano da occhi inopportuni ed entro confini protetti!
Oggi solo una placca in bronzo ricorda l’atroce martirio, un memento mori in cui si può leggere: ‘In questo luogo Jacques de Molay ultimo Gran Maestro dell’Ordine del Tempio fu bruciato il 18 marzo 1314’.

La placca nell’Ile de la Cité di Parigi posta a memoria del rogo 


Pochi anni dopo il Villani, nel 1363-64, Giovanni Boccaccio dedicò un intero capitolo del suo trattato moralizzatore De casibus virorum illustrium alla figura di De Molay esaltandone i valori umani e trascrivendo il famoso resoconto di Chellino Boccaccio, suo padre, testimone oculare del tragico evento.
Il racconto del padre del Boccaccio risulta molto vicino a quello del Villani allontanando l’intera questione dal mito e presentando i fatti sotto una luce storica realistica quanto aderenti ai fatti per come occorsero.

Alle testimonianze sul trafugamento delle povere ossa di De Molay si aggiunge anche una cronaca tarda fornitaci dall’illustre storiografo francese Pierre Dupuy, autore che nel 1751 ricordò come dopo il supplizio “il popololo semplice… credendo che fossero morti innocenti e ritenendoli dei santi … raccolse le loro ceneri”[5].
Pochi decenni dopo il Dupuy sarà l’abate Paul François Velly[6], nella sua Histoire de France, a riferire che quando i corpi dei due dignitari Templari erano diventati niente più che pochi resti carbonizzati, il popolo si lanciò, malgrado vi fossero alcune guardie, verso la pira ardente “… e raccolse le ceneri dei martiri da conservare come una preziosa reliquia. Tutti si facevano il segno della croce e non volevano sentire ragioni”.
Labili tracce che sembrano indicarci una verità a lungo dimenticata, l’esistenza in qualche ‘sacro luogo’ di frammenti e ossa appartenute a Jacques de Molay e Geoffroy de Charny.
Ma dove posso trovarsi oggi queste reliquie?

 

Jacques de Molay, grand maître des Templiers – Fleury François Richard 


Se diverse tradizioni massoniche del XVIII e XIX secolo sembrano averne reclamato il possesso e la paternità, personalmente su tali ‘attribuzioni’ nutriamo fortissimi dubbi di veridicità.
Tra i tanti che si fecero latori di un nuovo messaggio di rinascita massonica e templare, da cui si originò il templarismo moderno, troviamo personaggi quali il barone Von Hund creatore nel 1757 del rito della Stretta Osservanza Templare. Tali realtà, però, niente ebbero a che fare con i loro predecessori se non in una continuazione ideologica e ipotetica ma mai storica.
Laddove l’analisi si deve necessariamente fermare per mancanza di ulteriori documenti e riscontri è interessante altresì osservare come la Toscana sembri aver sempre giocato, nei secoli, un ruolo di primo piano all’interno di questa incredibile indagine.
Tre autori di questa regione, Villani, Boccaccio e uno scrittore lucchese ottocentesco hanno ripetutamente parlato di queste ‘sante reliquie’ quasi, forse, a volerci indicare il luogo in cui fuorno condotte. Un collegamento arbitrario, certamente, ma curiosamente reiterato nel tempo. All’infuori di loro, in oltre sette secoli, quasi nessun altro studioso sembra aver dato peso ai ‘santi resti’.

Stampa ottocentesca raffigurante il rogo di Jacque de Molay e Geoffroy de Charny 


Per quanto tale ipotesi si ponga come ‘eretica’ e ad oggi priva di un qualsiasi riscontro effettivo non può essere altrettanto negato l’interesse che i Templari suscitarono tra i sapienti toscani del periodo tra tutti lo stesso Dante che ripetuttamente nella sua Divina Commedia difese l’Ordine dalle accuse che gli erano state mosse[7] contro dal papato e dal re di Francia.
Domande forse più semplici necessitano però di una spiegazione. Chi raccontò al Villani del trafugamento delle reliquie? Non si trattò certamente di una pura invenzione letteraria. Parallelamente, e senza nessun collegamento, ne trattarono anche altri autori.
La figura che ‘confidò’ questo segreto al Villani aveva assistito a questo occultamento? Ne era stato lui stesso coautore? Come ne era venuto a conoscenza? Lo stesso Boccaccio riporta le dichiarazioni del padre, diretto osservatore degli eventi, una testimonianza che avvalora ulteriormente i fatti parigini nonché gli scarni resoconti giunti fino a noi.
A tutto ciò si aggiunge un’opera che nel 1845 il Marchese Cesare Boccella portò alle stampe, un poema dal titolo Il Templare, componimento di ben 591 pagine, in cui scrisse[8]:

Allor ratti quai dardi ambo costoro
Lanciàrsi, e il cener sacro in parte accolto,
In un istante in sen di un’urna d’ oro
Colle devote mani ebber sepolto:
Nè tentaron rapire il lor tesoro
Le guardie istesse impietosite in volto,
Ma li lasciaro anzi securi appieno
Di là ritrarsi alle tenèbre in seno

Il Boccella riporta in nota il riferimento da cui attinse le informazioni per creare i suoi versi, il libro Histoire de la condannation des Templiers del 1713 di Pierre Dupuy[9].
Anche in questo caso si parla di ceneri che vengono sottratte dal luogo del martirio ma una notazione aggiuntiva circostanzia il tutto, la presenza di guardie reali che, ‘impietosite in volto’, lasciarono che ceneri e ossa fossero recuperate.
Non sappiamo se questa notazione sia stata un’aggiunta poetica del Boccella o se l’autore abbia attinto a fonti a noi oggi ignote. Il poema rimane un ulteriore tassello che si aggiunge a questo complesso enigma storico. Una costellazione di elementi che potrebbero condurre alla riscoperta delle spoglie mortali dell’ultimo Gran Maestro dei Templari, una ricerca che potrebbe riportare alla luce le reliquie di una delle figure più affascinanti che questo periodo storico abbia conosciuto.


NOTE: 

[1] Alain Demurger, The Last Templar: The Tragedy of Jacques de Molay, Last Grand Master of the Temple, Profile Books, 2010, p. 199.
[2] François Ribadeau Dumas, Histoire de St. Germain des Prés, abbaye royale, P. Amiot, 1958 p. 62, 68, 223.
[3]L. Lalanne, La Correspondance littéraire, Durand, 1861, articolo di E. Boutarig intitolato Le Proces des Templiers, p.52.
[4] Nei giorni che seguirono il parlamento parigino e l’alta corte decisero di acquisire il terreno, specificando che il re non aveva intenzione di violare i diritti dell’abate ma solo di ‘avere i due uomini che erano formalmente templari bruciati sull’isola nella Senna, adiacente al punto del nostro giardino; tra il nostro detto giardino, su un lato del fiume, e la casa religiosa dei fratelli dell’Ordine di Sant’ Agostino di Parigi, sul lato opposto del fiume, sul quale egli aveva pena giurisdizione legale‘.
[5] Pierre Dupuy, Histoire de l’ordre militaire des Templiers, ou chevaliers du temple de Jerusalem: depuis son etablissement jusqu’à sa decadence et sa suppression, Foppens, 1751, Brusselles, p.63.
[6] Paul François Velly, Claude Villaret, Jean-Jacques Garnier, Histoire de France: depuis l’établissement de la monarchie jusqu’au regne de Louis XIV, Chez Desaint & Saillant, 1770.
[7] È interessante osservare l’importanza assunta dalla Toscana nei secoli grazie anche ai personaggi che la visitarono. Se San Bernardo di Chiaravalle, maggiore patrocinatore dei Templari, risiedette per diverso tempo nel grossetano anche il Loro grande accusatore, Guillame de Nogaret, visitò queste terre per ‘questioni diplomatiche’ nel 1303, periodo ‘caldo’ in cui si stavano cercando di raccogliere prove contro l’Ordine. Dino Compagni, nella sua Cronica, (Istituto storico italiano per il medio evo, 2000, p. 361) ricorda il passaggio di Nogaret mentre lo studioso Jean Coste (Les deux missions de Guillaume de Nogaret en 1303, Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes T. 105, N°1. 1993. pp. 299-326.) ha analizzato le motivazioni ufficiali che lo condussero in queste terre. Da quanto fin’ora esposto emerge un quadro della presenza templare Toscana molto più complesso di quanto ad oggi ipotizzato. Forse la presenza di Nogaret non fu dovuta semplicemente a questioni diplomatiche?
[8] Cesare Boccella, Il Templare, Tipografia Giusti, Lucca, 1845, p. 584.
[9] Pierre Dupuy, Nicolaus Gürtler, Jacobus Puteanus, Histoire de la condannation des Templiers, celle du schisme des papes tenans le siège en Avignon & quelques procès criminels, Volume 1, Brusselle, Chez François Foppens, 1713, p.64.



Articolo di
Enrico Baccarini 

fonte : esoterismoemisteri.com