MISTERI de lMonte Musinè

MISTERI de lMonte Musinè

di Stefano Panizza

 

Il monte Musinè, che in dialetto piemontese significa "asinello", è posizionato a 20 km da Torino, sulla strada che porta verso la Val di Susa, e lo si può considerare come il primo contrafforte alpino. Dalla forma vagamente piramidale, spoglio e inospitale nella parte superiore, sembra trovare gradimento soprattutto da parte delle vipere.

 

 

Ecco le motivazioni per le quali viene annoverato fra i luoghi misteriosi e come ad esse rispondono la scienza e l’archeologia ufficiali:

1) Da sempre circolano voci di lupi mannari, di immagini spettrali che vagano nella penombra, di strani animali. Vi sarebbe una grotta maledetta nella quale, ogni 1° maggio, si darebbero appuntamento streghe, maghi, e licantropi per inneggiare alle forze del male. Secondo alcuni scritti del ‘600 e ‘700 la vallata fu spesso percorsa da "musiche demoniache", accompagnate da urla angosciose cariche di dolore. Una antica leggenda vuole che il re Erode fosse esiliato su questa montagna, come punizione per la strage degli innocenti.

2) Secondo alcuni storici fu proprio in questa zona che in cielo apparvero a Costantino la croce fiammeggiante e la scritta "In Hoc Signo Vinces", segni che convinsero l’imperatore a convertirsi al Cristianesimo. I cosiddetti "Campi Taurinati", di cui parlano le cronache dell’epoca, sembrerebbero coincidere con la zona pianeggiante di Grugliasco e Rivoli che separa Torino dal massiccio del Musinè.

3) Stando a quanto dichiarato da molti esoteristi il luogo sarebbe un gigantesco catalizzatore di energie benefiche. Non dimentichiamoci che si troverebbe su una linea "ortogonica" (una di quelle che circondano la Terra come una ragnatela e che indicano zone di particolare concentrazione di energia) che, entrando dalla Francia, attraversa tutta la nostra penisola. Secondo altri sarebbe addirittura una sorta di "finestra" aperta su un’altra dimensione.

4) Il sito amplificherebbe, nel momento in cui vi si sosta, le facoltà extrasensoriali che ognuno di noi avrebbe, ma che solo in particolari circostanze risultano evidenti. Gli stessi rabdomanti hanno dichiarato che in prossimità del monte bacchette e pendolini si muoverebbero in modo molto più accentuato del normale.

5) Da sempre la zona è teatro di apparizioni di misteriosi bagliori azzurri, verdastri e fluorescenti. Esse hanno fatto la loro comparsa fin dal lontano 966 d.c. All’epoca il vescovo Amicone si trovava in Val Susa per consacrare la chiesa di San Michele sul monte Pirchiano, di fronte al Musinè. Durante la notte, in attesa dell’arrivo dell’alto prelato, i valligiani assistettero ad uno spettacolo affascinante ma pauroso al contempo: il cielo fu percorso da travi e globi di fuoco che illuminarono la chiesa come se fosse scoppiato un incendio. Altre storie parlano di carri di fuoco che spesso sorvolavano la vetta.

6) Ai giorni nostri frequenti sono gli avvistamenti notturni e diurni di oggetti volanti non identificati.

7) Il monte, essendo un antico vulcano spento da millenni, è ricco di gallerie e passaggi irregolari scavati dallo scorrere dell’antico magma, in gran parte però inesplorati.

8) Ai piedi del Musinè esiste un "cono d’ombra" cioè una zona di interferenza che oscura qualsiasi trasmissione radio. Anche gli aerei privati che si trovano a sorvolare il luogo vengono disturbati nelle loro trasmissioni radio. Questi problemi cessano nel momento in cui ci si allontana dalla montagna.

9) Appare strana la distribuzione della vegetazione, particolarmente ricca ai piedi del monte, ma che poi si dirada in modo quasi repentino col crescere dell’altitudine. La Forestale ha inutilmente speso ingenti capitali per rimboscare la zona, nella quale le giovani piante sembrano morire una dopo l’altra. La credenza popolare spiega il mistero con la processione continua di anime dannate che salgono e scendono il monte senza sosta. Secondo una credenza un po’ più moderna sarebbero le emanazioni radioattive di una base segreta a produrre tale sterilità.

10) Le pendici sono ricche di d’incisioni rupestri e di grandi pietre disposte in modo forse rituale, testimonianze di un passato ancora ben da decifrare. In un masso è raffigurata addirittura una giraffa africana, ma questi animali non vivevano in Piemonte, nemmeno nel neolitico.

11) La salita è costeggiata, in località Torre della Vigna, fra i 400 e i 900 metri, da una serie di strutture a forma di coppa, dette coppelle. Queste sono disposte in maniera tale da formare delle mappe celesti. Sono rappresentate la Croce del Nord, l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Cassiopea e le Pleiadi. In pratica c’è tutto l’emisfero boreale ma anche altre raffigurazioni non ancora identificate. Suggestiva è la visione dalla vallata quando, riempite le cavità di combustibile e incendiate, la montagna si ricopre di tante piccole luci.

12) Il Musinè è sede anche di uno stranissimo obelisco che acquistò fama mondiale grazie ad un libro di Peter Kolosimo intitolato "Astronavi sulla preistoria". Sulla superficie compaiono alcune croci che rappresentano probabilmente cinque persone, un cerchio in alto a sinistra con un punto al centro e due semicerchi tagliati nella parte inferiore che assomigliano in modo clamoroso ai moderni dischi volanti. Secondo lo scrittore sarebbe una sorta di rappresentazione delle evoluzioni di macchine aeree che furono viste in cielo dai nostri antichi progenitori.

 

 

13) Fra il 1973 e il 1978, anno in cui fu portata via, qualcuno collocò sulle pendici del monte una targa metallica inneggiante alla "fraternità universale fra tutti i popoli". Il testo parla di "punti elettrodinamici", di "entità astrali" ed indica dieci grandi personaggi del passato, da Cristo a Martin Luther King, indicandoli come esempi da seguire. Il 7 ottobre del 1984 un gruppo di esoteristi ne ha fatto un’altra copia e l’ha ricollocata al suo posto. Questa nuova versione è in alluminio anodizzato ed è stata cementata alla base della grande croce che spicca sulla montagna.

14) La scienza e l’archeologia cosa rispondono a queste affermazioni? Innanzitutto le luci nel cielo sono fulmini globulari (fenomeno comunque piuttosto raro) o fulmini tradizionali, attratti dagli spessi strati sottostanti, tutti permeati di magnetite (si sono però manifestate anche in assenza di temporali). Non esiste una manifestazione a carattere ufologico maggiore che in altre zone d’Italia (è comunque presente ed è poi difficile fare delle statistiche attendibili in questo campo perché le variabili sono molte, dalla disponibilità delle persone a parlarne alla qualità dell’indagine svolta da chi indaga sul fenomeno). La luminosità sulle pendici del monte è dovuta alla presenza di "fuochi fatui", come conseguenza di gas che ancora fuoriesce dall’interno della montagna (ancora dopo millenni? Senza considerare che i "fuochi fatui" sono prodotti da materiale in decomposizione). La presenza di un ambiente così ostile nella parte superiore del monte deriva dalla mancanza di fonti d’acqua nel sottosuolo (ma perché la diversificazione è così marcata? E perché questa insistenza, quasi irrazionale, delle autorità nel cercare di rimboschire la zona ?). L’obelisco o è un falso degli anni ’70, secondo alcuni (ma le prove?), oppure è una rappresentazione dell’alba e del tramonto con gli uomini in adorazione (mentre considerare come un immagine del sole il cerchio puntato al suo interno può essere corretto perché comune a molte civiltà preistoriche, vedere nei due semicerchi una sua raffigurazione nelle fasi di inizio e fine giornata è pura speculazione).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

  1. www.notizieufo.com/musine.htm

  2. www.edicolaweb.net/st000856.htm

  3. www.marianotomatis.it/art_mus.htm

  4. www.popobawa.it/itenerari/piemonte/

  5. Astronavi sulla preistoria di Peter Kolosimo – Sugar Editore

 

 


 

 

LE MONTAGNE DELLA PAURA - Il Musinè e il Ciabergia

di Arianna Toma (Rivista "Mystero" - Agosto 2004, n. 51, Anno V)

 

 

 

Non si smette mai di conoscere ed imparare sul mondo del mistero e gli argomenti non mancano mai. Grazie a nuove scoperte, il campo dell’ignoto si allarga dando la possibilità a chiunque di svelare la verità. Con questo articolo di Arianna Toma vi condurrò su due montagne torinesi per scoprirne i misteri … Buona lettura!
 


Il Monte Musinè

A pochi chilometri da Torino sorgono due montagne, il Musinè e il Ciabergia, sulle quali sono stati trovati i resti di una misteriosa civiltà perduta nelle nebbie del tempo: c’è chi pensa a una cultura di esseri prediluviani dalle proporzioni enormi, forse i Giganti di tanti miti, e c’è chi invece sostiene che lì sarebbero discese dal cielo addirittura delle creature aliene, simili agli enigmatici "Mostri dalla Testa Rotonda" di cui sono state trovate antichissime raffigurazioni anche in Africa nel Tassilli …
A circa 18 chilometri da Torino è ubicato il Monte Musinè, una delle più misteriose alture d’Italia dove, come nella landa devastata dal celebre racconto di H. P. Lovecraft, "Il colore venuto dal cielo", nulla attecchisce, nulla riesce a crescere, nulla vive, tranne secchi cespugli invasi dalle vipere.
Molte sono le leggende che aleggiano intorno al monte. La più famosa è quella secondo il quale Erode, il feroce re di Giudea, sarebbe stato condannato ad espiare i suoi crimini, sorvolando per l’eternità la tetra montagna rinchiuso in un carro di fuoco. E per questo non sono rare le notti in cui, lungo i pendii del Musinè, si accendono bagliori improvvisi. C’è chi dice che siano dei banalissimi lampi o fulmini globulari o fuochi fatui. Mentre gli appassionati di UFO hanno attribuito le luci ad astronavi extraterrestri che avrebbero impiantato addirittura una base segreta all’interno della montagna.
Ci sarebbe anche una "grotta incantata" intorno alla quale si aggirerebbero lupi mannari, spettri che svaniscono nel fumo, urlando come anime dannate, sabbia, fuochi "magici" e la presenza di un tesoro sepolto.
Gli studiosi Louis Charpentier e Mario Salomone vedono queste leggende come deformazioni di avvenimenti reali che rivelerebbero le tracce di un’antichissima civiltà il cui nome e la cui cultura si sono persi nella notte dei tempi e che riecheggia motivi propri di molte civiltà del globo.
Secondo un’antica tradizione, ancora viva oggi, la "grotta incantata" sul monte Musinè è costantemente sorvegliata da un drago d’oro. Si narra che un giovane di nome Gualtiero sarebbe riuscito a penetrare nella grotta che, peraltro, era abitata da un mago. Quest’ultimo, vistosi scoperto, sarebbe poi fuggito su un carro di fuoco, facendo ritorno al suo rifugio, di tanto in tanto, per operare qualche incantesimo o magia, giusto per non perdere l’abitudine. Gli abitanti delle località vicine identificano l’astronave "ante litteram" con i globi di fuoco.

 

 

Ma il drago e il "carro di fuoco" o, come lo indicano altri, la "sfera infuocata", sono motivi presenti non solo nelle leggende ed in vecchie fiabe raccontate dagli anziani soprattutto per spaventare i bambini, ma anche nella cultura di altre civiltà. Nella mitologia cinese, ad esempio, si incontrano draghi avvampati di fuoco, oppure in alcune civiltà asiatiche, americane ed africane è il serpente a prendere il posto del drago: alato, piumato o stilizzato, rigido o a volute, simboleggia sempre l’infinito e spesso il volo. Molte volte appare accanto al segno solare. Ciò lo si vede anche sul Musinè dove è inciso vicino ad un sole e sotto una serie di piccole sculture che sembrerebbero un ammasso stellare. Inoltre, a poca distanza del monte, nei pressi di Caprie in Val di Susa, una lama di pietra guarda uno strapiombo di 150 metri, sovrastata da segni solari. La roccia parrebbe proprio un serpente rozzamente scolpito, simile a quello Algajiola in Corsica o in certe altre silitizzazioni dell’arte Maya.

E in tutto questo, qualcuno ha notato anche fuochi verdastri fosforescenti che hanno notevolmente acceso la fantasia di molti.
In realtà, però, potrebbe trattarsi di sostanze di animali in decomposizione o, dell’accensione spontanea di resine sia vegetali che animali all’interno di incisioni molto particolari a forma di coppa chiamate appunto coppelle.
E allora ci si chiede: perché le antiche popolazioni abitanti quei luoghi avrebbero dovuto accendere o avrebbero permesso l’accensione di fuochi spontanei nella notte, in piccole buche, le coppelle appunto, faticosamente scavate nella roccia? Molto probabilmente, per imitare il cielo e le stelle. Infatti, le coppelle sparse sulla roccia indicano un’intera mappa celeste. Qui è presente tutto l’emisfero boreale, dalla Croce del Nord, o Costellazione del Cigno, alle due Orse, da Boote a Cassiopea, dalle Saette al Triangolo, dalla Colomba alla Cintura di Orione, alle enigmatiche Pleiadi.

Il Monte Ciabergia

Il Monte Musinè ha un compagno, il Ciabergia, alto 1170 metri, dove sono stati trovati reperti quanto mai strani ed affascinanti. Il primo è una grande ruota di pietra di 64 centimetri di diametro e uno spessore di 14 centimetri. Gli studiosi accademici l’hanno definita come "macina", ma alcuni particolari ci inducono a pensare il contrario. Infatti sulla ruota sono incise due coppelle rispettivamente di 12 e di 7 centimetri di diametro e un taglio che divide esattamente in due la ruota. Questi particolari richiamano alla memoria un masso marocchino posto nei pressi di Imzilen e chiamato Tazrout N’Troumit che vuol dire "pietra della romana" o "pietra caduta dal cielo".
L’etnologo francese Jean Mazel osserva: "La definizione berbera "pietra della romana" non ha alcun riferimento con l’epoca romana, ma si richiama alla parola "ROUMI" e ai suoi derivati "IROUMAIN" (plurale) e "TROUMIT" (femminile), designanti sia qualcosa di estraneo all’ambiente umano, sia un’epoca antichissima perduta nella notte dei tempi, come tutto ciò che è anteriore all’Islam. Non sarebbe dunque illogico pensare che questo strano masso sia servito ai culti di un’umanità primitiva imparentata con quella che incideva sulle pareti dei Tassilli i famosi "mostri dalla testa rotonda" scoperti da Henri Lhote. Alcuni contadini affermano che questa ruota sia realmente caduta dal cielo con le incisioni già fatte e proveniente da un altro mondo".
Sul Ciabergia esistono anche i cosiddetti "massi col cappello". Si tratta di due rocce levigate dai ghiacciai o dagli agenti atmosferici sulla sommità delle quali sono state collocate delle enormi pietre. Non sono certo rocce naturali ma sicuramente opera dell’uomo. Sulla prima roccia, alta 6 metri, è stato posto un "cappello" di 3,30 metri di lunghezza; sulla seconda, di forma piramidale e alta 2,15 metri, è stato issato un masso che si leva a 7,10 metri dal terreno. La cosa ancora più sorprendenti e che sotto i "cappelli" sono stati scavati degli incavi perfetti per mantenerli nella posizione voluta.
Alcuni affermano che questi "massi con il cappello" siano monumenti religiosi eretti a ricordo del culto dei giganti. Il cosmologo Denis Saurat afferma che "a piazzare le colossali pietre furono dapprima i titani spessi, poi gli uomini che avrebbero così inteso evocare a far rivivere gli dei". Alla mitica esistenza dei giganti dovremmo anche attribuire l’innalzamento del Cromelech.
Sul Ciabergia, infatti, a 1100 metri, si trova un allineamento di monoliti alti da 1,40 metri a 2,20, disposti in un semicerchio. Alla scoperta di questa sorta di Stonehenge italiana si è giunti attraverso la "mappa litica" incisa su una pietra di 3,60 metri di lunghezza e larga 2,20 metri con coppelle e solchi che le collegano. Le prime rappresentano gli insediamenti, i secondi le strade da percorrere per raggiungerli. 
Eccoci quindi di nuovo di fronte al misterioso mondo delle coppelle, questo alfabeto litico arcaico che, oltre a rappresentare costellazioni, anticipa anche una sorta di segnaletica stradale.
Questo è quanto è stato scoperto sino ad oggi, e ce n’è davvero abbastanza per restare perplessi. Ma sono in parecchi a sostenere che i monti Musinè e Ciabergia sono comunque ancora lontani dall’averci rivelato tutti gli stupefacenti segreti del loro remoto ed enigmatico passato …

 

"Ci sono momenti in cui le parole non servono più …"

 

 


 

 

UNA BASE ALIENA SUL MONTE MUSINÈ?

di Mariano Tomatis

 

 

A pochi chilometri da Torino, sulla strada che porta verso la Val di Susa, si staglia imponente un monte dal cono spoglio e dalla forma vagamente piramidale. Sulle sue pendici uomini di ogni tempo vi hanno impresso tracce del loro passaggio, tradotte in simboli accennati, graffiti ed affascinanti incisioni rupestri. A questo ambiente così ricco di storia nel 1976 la giornalista torinese Giuditta Ansante Dembech dedicò uno studio archeologico cui diede il suggestivo titolo di "Musiné magico".
Nelle oltre 130 pagine che lo componevano ella raccolse dati storico-archeologici, leggende e fotografie di quella che nel giro di due anni divenne, agli occhi dei piemontesi, la "montagna incantata". Come avvenne questa singolare "elezione" del Musiné a "punto Radiante" paragonabile a quelli presenti sull’Isola di Pasqua, nel Tibet e sulle Ande?Le leggende che nacquero dalle popolazioni vissute per secoli a ridosso del Musiné non sono dissimili da quelle di qualunque altro villaggio di montagna: tutte parlano di entità malefiche, streghe, demoni, lupi mannari, la più originale di un carro volante guidato da Erode che scorrazza di qua e di là ogni notte …
Il compendio che ne fece Giuditta Dembech sul suo "Musiné magico" ha un indubbio valore storico, ed è certamente un lodevole esempio di studio sulle più antiche tradizioni piemontesi. E’ vero, qua e là vi si ritrovano concessioni alla parapsicologia e alle tesi ufologiche, ma la maggior parte di queste vengono subito attenuate da considerazioni dal taglio più scettico. Alcune, però, destano non poche perplessità: Croiset e Gustavo Rol vengono presentati come straordinari sensitivi, mentre si afferma che la Val di Susa si troverebbe su misteriose rotte "ortogoniche".
Nonostante la gran mole di leggende presentate, al lettore vengono forniti strumenti per capire meglio quale realtà potrebbe nascondersi dietro a ciò che viene raccontato a voce.Se nelle antiche leggende il monte Musiné è stato a lungo centro di visite da parte di carri di fuoco volanti, oggi le strane "luci nel cielo" sono attribuite dagli ufologi ad improbabili visitatori alieni, che sarebbero addirittura discesi nelle viscere della montagna per effettuare strani esperimenti.
Ma è la stessa Dembech a segnalarne la più probabile provenienza "naturale": si tratterebbe di fulmini globulari o fulmini tradizionali, attratti dagli spessi strati sottostanti, tutti permeati di magnetite. Gli stessi reperti che gli ufologi hanno raccolto come testimonianze del passaggio di astronavi misteriose (campioni di terra bruciata dall’atterraggio, pietre "particolari") vengono riconosciute dai contadini locali come terriccio sul quale si è abbattuto un fulmine e "pere dal tron", che in dialetto locale significa "pietre del tuono".
Gli incendi, attribuiti alle attività degli extraterrestri in questione, sono da attribuirsi più all’ambiente secco del monte, sul quale non ci sono sorgenti d’acqua e la vegetazione si riduce a piccoli arbusti (anche a causa della paurosa siccità estiva). 
Né le voci intorno a misteriosi cunicoli che traforerebbero il monte potrebbero efficacemente essere addotti a prova di "presenze" dalla provenienza sconosciuta: in passato il Musiné era un vulcano, ed è fatto comune che l’enorme calore delle sue viscere imprima una fortissima pressione al magma incandescente scavando passaggi irregolari sotterranei. Se, poi, non si è completamente esaurita la riserva di gas naturale nel monte, diventa perfettamente spiegabile la comparsa di occasionali fuochi fatui (dovuti forse anche al gas emesso da materiale in decomposizione).Se, dunque, tutto ciò che circonda il Musiné ha un’origine naturale e perfettamente spiegabile dalla geologia, dalla storia e dalla fisica, come si spiega l’assunzione da parte del monte della fama di "montagna misteriosa"? Ciò che diede il via a questa interpretazione "alternativa" fu un capitolo di "Torino città magica", il libro che pubblicò la stessa Giuditta Dembech due anni dopo il suo studio sul Musiné.Non è chiaro il motivo per cui una giornalista che aveva dedicato il suo saggio archeologico "a noi, adulti razionali e positivisti" abbia provato il desiderio di convertirsi in questo suo secondo lavoro alle teorie esoteriche più bizzarre, accusando gli scienziati di ottusità e citando Lavoisiere quale elemento di punta di quella che lei chiama "stupidità scientifica".
Basta, infatti, leggere le quindici pagine del capitolo "Il Musiné" per intuire che qualcosa nello stile della Dembech è cambiato: il primo paragrafo si intitola suggestivamente "Un monte di mistero" e qui il monte è esplicitamente definito come "punto magico". "Qualcosa di insolito e misterioso" trasparirebbe dal suo aspetto: una descrizione molto adatta all’interno di un romanzo, ma alquanto strana per quello che vorrebbe essere un saggio rigoroso e documentato. E quali sarebbero le caratteristiche che renderebbero così "misterioso" il monte?
Secondo la Dembech, la Forestale avrebbe inutilmente speso ingenti capitali per rimboschire la zona, nella quale "per un motivo che nessuno riesce a spiegare, le giovani piante muoiono una dopo l’altra". Nessun riferimento, però, a quanto da lei stessa affermato due anni prima intorno all’assenza di sorgenti d’acqua e alla naturale siccità della montagna. Al contrario, viene portata come spiegazione possibile la presenza di una base segreta ("da cui dischi volanti prenderebbero il largo per orizzonti sconosciuti") causa di emanazioni radioattive che produrrebbero sterilità.
La giornalista non prende affatto le distanze dalle leggende riguardanti "entità malefiche e anime dannate"; le accosta, anzi, alle "più moderne e sofisticate" riguardanti le già citate invasioni aliene. E invece di riproporre le spiegazioni del fenomeno in termini di fulmini e gas naturali, riporta l’opinione di un occultista molto noto (di cui non fa il nome) secondo il quale il monte sarebbe un punto magico d’eccezione, sul quale "le capacità medianiche, possedute da ciascuno di noi" verrebbero "potenziate, amplificate al massimo".
Se su "Musiné magico" la Dembech affermava che "le leggende moderne ci presentano una versione poco probabile e decisamente romanzesca", che "molti anni spesi in ricerche archeologiche hanno permesso di sorridere di tutto questo, con vivo rammarico di coloro ai quali non sarebbe dispiaciuta una esperienza fuori del comune", e addirittura che "non si è mai recepita una sia pur minima traccia di un incredibile atterraggio o di un passaggio eccezionale", il tono utilizzato in "Torino città magica" è molto diverso; qui la giornalista scrive, con un’accentuata sensibilità cromatica, che "bisogna ammettere che i misteriosi bagliori azzurri, verdastri, fluorescenti li hanno visti in molti. Anche persone assolutamente razionali e degne di credito".
Il Musiné è tra l’altro sede di un particolare obelisco che acquistò fama mondiale grazie ad un libro di Peter Kolosimo intitolato "Astronavi sulla preistoria". Sulla sua superficie compaiono alcune croci raffiguranti probabilmente cinque persone, un cerchio in alto a sinistra con un punto al centro e due semicerchi tagliati nella parte inferiore. È perfettamente normale che agli occhi di uomini d’oggi i due semicerchi possano sembrare dischi volanti, ma trarne le conclusioni di Kolosimo sembra andare un po’ oltre quello che dovrebbe essere il dominio di un archeologo. Egli sostenne, infatti, che si trattava della descrizione di un terrificante attacco spaziale.

 

             

 

Giuditta Dembech non si lascia sfuggire questo affascinante obelisco, ma è interessante analizzare come è cambiato in due anni il suo approccio all’argomento da "Musiné magico" al successivo "Torino città magica".
Nel primo dà una sommaria descrizione delle teorie di Kolosimo, concludendo ironicamente: "Sembra l’epilogo di un romanzo di Urania che avevo letto da bambina" e aggiungendo: "purtroppo, e dico purtroppo perché preferirei credere che ci fossero davvero i "popoli delle stelle" pronti a tirarci fuori dai guai, siamo costretti a smentire queste fantascientifiche utopie."

Sembra che con il passare degli anni questo il desiderio di credere sia prevalso sulla giornalista torinese, perché la stessa descrizione su "Torino città magica" si conclude con l’ambigua "sembrerebbe veramente la cronaca di un passaggio insolito nel cielo e, soprattutto, non esisteva nessun altro sistema per tramandare un avvenimento del genere se non come è stato graffito".
Per trovare una spiegazione più razionale basta attingere proprio al primo dei due lavori della Dembech: il cerchio con il punto centrale rappresenterebbe il sole allo zenit (si tratta di una raffigurazione comune a molte civiltà preistoriche), mentre i due semicerchi rappresenterebbero l’alba e il tramonto. Gli uomini raffigurati sarebbero in posizione di adorazione di fronte al sole, e l’uomo rappresentato orizzontalmente potrebbe essere la vittima di un sacrificio rituale (studi successivi hanno confermato l’esistenza di simili forme di religiosità nella zona).

 

 

A questa spiegazione, la giornalista non dedica che cinque righe su "Torino città magica", concludendo fortunatamente con le parole: "E forse è proprio così". Subito dopo, però, vengono riportate altre testimonianze di avvistamenti, concluse con una frase che sembra alludere a numerosissimi altri eventi simili: "le cronache ufologiche sono zeppe di avvenimenti del genere".
Il paragrafo successivo è dedicato ad una strana targa metallica inneggiante ad una "fraternità universale tra tutti i popoli" che qualcuno avrebbe collocato sulla vetta del Musiné in un periodo imprecisato tra il 1973 e il 1978, anno in fu portata via. Il testo parla di "punti elettrodinamici", di "astrali entità" ed elenca dieci grandi personaggi del passato, da Cristo a Martin Luther King, indicandoli come esempi da seguire. La Dembech sostiene di aver ricevuto una lunga e dettagliata lettera misteriosamente firmata "Echnaton" che spiegherebbe il significato della targa; il testo della spiegazione è sibillino quanto quello della targa, né è di maggior aiuto la citazione dell’alchimista Bardato Bardati, per cui essa conterrebbe "un significato alchemico importantissimo, ma il discorso è strettamente riservato agli iniziati". Guarda caso …
Le altre testimonianze al riguardo sono della stessa levatura: contattisti che vedono nella montagna tracce di una Nazca in miniatura, detective che vi riconoscono una "finestra aperta su un’altra dimensione" (e la Dembech porta a sostegno di questa teoria un maremoto che colpì Pescara nel giugno del 1978).
Nel paragrafo "Sempre più mistero" viene riportata, tra le altre, l’affermazione di una studentessa di scienze naturali che ha riscontrato come la flora del monte sia simile a quella dell’isola di Pantelleria, "che si trova agli antipodi del Musiné". Cosa ci sia di strano in questo fatto lo sa solo la Dembech. Non si capisce, invece, come il monte possa trovarsi agli antipodi dell’isola di Pantelleria.
Ancora, la giornalista presenta come insolita una fotografia nella quale l’immagine dei componenti del gruppo si riflette su un banco di nebbia creando una sorta di "doppio" di ciascuno.La Dembech sostiene che il fenomeno sia spiegabile in termini di energia bioplasmica (o aura vitale), e cita la camera Kirlian. E’ qui che inserisce la sua accusa "agli spocchiosi personaggi che vegetano nei laboratori scientifici, dal Politecnico in poi".
L’ultimo paragrafo cita una fotografia che la giornalista ottenne per caso quando, nel tentativo di azionare l’autoscatto, la macchina le cadde per terra fotografando, così, il sole. Il perito fotografico Luciano Caivano, amico della Dembech, analizzò la "cosa" che si impresse sulla pellicola e concluse che si trattava della testimonianza di una presenza aliena. Il contattista Alberto Frisoni confermò la teoria del fotografo, sostenendo che la macchia sfocata color arancio brillante è stata la manifestazione di una forma di vita extraterrestre che si sarebbe messa in contatto con lei per dimostrarle "non solo che esistono, ma che possono fare molte cose…". Il paragrafo in questione si intitola "Un UFO invisibile …". Se fosse ancora vivo, probabilmente Carl Sagan chiederebbe alla Dembech "qual è la differenza fra un UFO invisibile e un UFO inesistente". Il grande successo che ottenne sull’opinione pubblica torinese il volume Torino Città Magica indusse la Dembech ad approfondire il discorso sulla montagna della Val Susa in un libro che intitolò semplicemente Musiné. E’ il 1996. Sono trascorsi vent’anni dalla sua dedica agli "adulti razionali e positivisti". Questa volta destinatari dell’opera sarebbero "l"Età dell"Acquario" e "l"Uomo Nuovo che è già in ciascuno di noi". Oltre a riprendere uno per uno tutti i misteri che avvolgerebbero il Musiné, la Dembech ci svela il mistero finale: la ragione della sua "conversione" a seguace della New Age. Nel corso del libro Musiné magico "ero legata ad un gruppo di ricerca archeologica […] Praticamente mi tenevano d’occhio pagina per pagina mentre scrivevo, per evitare che potessi infilare ipotesi assurde in quel testo che doveva essere il più attendibile possibile". Nella nuova edizione "a questo materiale, validissimo dal punto di vista della ricerca preistorica, ne ho aggiunto dell"altro, meno scientifico, ma indubbiamente più affascinante".Non ci sembra irrispettoso concludere con le parole usate dalla giornalista per bollare quelle stesse teorie che avrebbe abbracciato qualche anno dopo essersi così espressa: "Proprio niente di tutto questo va preso in considerazione se si vuol fare uno studio veramente serio".
Se lo diceva lei ...

 

(© 2000 Mariano Tomatis)

 

 


 

 

GRANDI MISTERI DEL MONTE MUSINÈ

 

L'8 marzo 1996 un oggetto luminoso veniva osservato per oltre un quarto d'ora da due escursionisti mentre scendevano dal Monte Musinè, in Val di Susa, nelle vicinanze di Torino. Secondo il racconto dei due testimoni, l'oggetto aveva una forma simile ad un cilindro dai riflessi giallo-verdi con le estremità arrotondate e sembrava sostenersi, oscillando leggermente, su un cuscino di luce bianco-gialla. Alle due estremità dell"oggetto c"erano due grosse calotte trasparenti attraverso le quali si intravedevano muoversi delle sagome apparentemente umanoidi ...

 

 

Dalle circostanze riportate in seguito dai due testimoni si può presumere che in relazione all'avvistamento UFO in oggetto possa essersi verificato anche un possibile caso di "abduction". A circa 18 km da Torino, visibilissimo dagli immediati dintorni, da Rivoli, dai laghi di Avigliana, da altre località vicine, sorge il Musinè, il monte più misterioso d'Italia, un rilievo sinistro su cui nulla attecchisce, nulla riesce a crescere, tranne cespugli rinsecchiti, erbacce circondate da grovigli di vipere. L'attenzione intorno ad esso venne accesa da qualche accenno a misteriose aperture, a massi forse scolpiti dagli agenti atmosferici e modellati poi presumibilmente dall'uomo, da sinistre leggende su cui domina quella di Erode, secondo la quale il feroce re di Giudea sarebbe stato condannato a espiare i suoi crimini sorvolando la tetra montagna rinchiuso in un carro aereo di fuoco. In effetti non sono rare le notti in cui bagliori improvvisi si accendono lungo le pendici del Musinè e (forse) nel suo cielo: si tratta a volte d'incendi, a volte di lampi; c'è chi parla di fuochi fatui, di fulmini globulari. È comunque facilmente spiegabile come questi fenomeni abbiano sfrenato la fantasia degli osservatori di UFO, alcuni dei quali vedono nella montagna torinese addirittura una base segreta di "dischi volanti". Che cosa possono andare a cercare lassù gli extraterrestri proprio non riusciamo a indovinare ... Dobbiamo tuttavia concedere un"attenuante agli ufologi: chi non sarebbe suggestionato dall'alone di sinistro mistero che circonda il Musinè? Alla leggenda di Erode, poi, se ne sovrappongono molte altre: si parla di una "grotta incantata", di lupi mannari, d'immagini spettrali che svaniscono nel fumo, di urla di anime dannate, di suoni, di musiche strane, di sabba sfrenati, di un immenso tesoro sepolto e ancor sempre, nelle versioni più diverse, di "fuochi magici". Con parecchi altri ricercatori, il francese Louis Charpentier vede le leggende come deformazioni di avvenimenti reali, ricordi distorti, alterati nel corso dei secoli. E dello stesso parere è Mario Salomone, archeologo e fotografo torinese. Proprio questa sua convinzione lo porta sulle tracce di un'antichissima cultura senza nome, riecheggiante motivi propri a civiltà di tutto il globo.

 

STELLE SULLA ROCCIA

Secondo tradizioni ancora vive, un drago d'oro sarebbe stato posto a guardia della "grotta incantata" del Musinè, pronto a difendere non solo incomparabili tesori, ma anche il mago che la abitava. Sembra che un giovane chiamato Gualtiero, infischiandosi degli inviti alla prudenza dei compaesani,sia penetrato nell'antro dello stregone. Quest'ultimo, vistosi scoperto, avrebbe abbandonato a bordo di un "carro di fuoco" il suo rifugio, facendovi di tanto in tanto ritorno con lo stesso veicolo per dedicarsi a qualche incantesimo, tanto per non perdere l'abitudine ... Gli abitanti delle località vicine identificano quest'astronave ante litteram con i globi di fuoco che sorvolerebbero la vallata per posarsi poi sul monte: si tratta ovviamente di un"altra versione del "carro di Erode". Ma soffermiamoci un momento sul drago e sulla "sfera infuocata". Nelle vecchie fiabe troviamo innumerevoli bestioni del genere a guardia di antri e tesori. Ma nella mitologia cinese incontriamo proprio draghi d"oro volanti, avvampanti. del "mostro del Musinè" non si parla più dopo la scomparsa del mago: che abbia preso il volo e sia poi stato visto come bolide fiammeggiante? Notiamo anche che presso altre remote civiltà asiatiche, africane, americane, è il serpente a prendere il posto del drago: alato, piumato o stilizzato, rigido o a volute, simboleggia sempre l'infinito,sovente il volo ... E molte, molte volte compare anche accanto al segno solare: tanto accade pure sul Musinè, dove lo vediamo inciso vicino alla raffigurazione dell'astro e martellinato sotto quello che parrebbe un'ammasso stellare. Non dimentichiamo che a poca distanza dal monte, nei pressi di Caprie, sempre nella valle di Susa, una lama di pietra guarda su uno strapiombo di 150 metri, sovrastata da segni solari. Ed è un serpente rozzamente simboleggiato, come quello di Algajola, in Corsica, un serpente che, elaborato nell'orrida e stupenda arte maya, sembra elevarsi al cielo dal "tempio dei guerrieri" di Chichén Itzà. Il Musinè è costellato anche di rappresentazioni solari, accanto alle quali troviamo menhir, pietroni che potrebbero essere aree sacrificali preistoriche, con un monolito trapezoidale perfettamente squadrato. Su questa stele osserviamo, evidentissimi, tre soli, che hanno i loro esatti corrispondenti nei segni rilevati in Francia, a Pair-non-Pair (Gironda) e nei pressi di Montesquieu (Avantès-Ariège), interpretati dall"archeologo Aimè Michel come "possibili raffigurazioni di veicoli spaziali". Anche se vogliamo tenere ben saldi i piedi a terra, dobbiamo ammettere che i tentativi di spiegazione delle leggende ci prospettano già un quadro fantastico quanto basta. "Si narra che l"uomo lupo si trasformasse in belva venendo fuori dalla sua grotta, per riprendere poi sembianze umane", ci dice Salomone. "Potrebbe trattarsi benissimo d'individui i quali, uscendo all'aperto, si coprissero con pelli animali per difendersi dal freddo". E, riferendosi agli altri favolosi ricordi, aggiunge: "Le immagini spettrali, umane o animali, scomparenti nel fumo potrebbero essere quelle di vittime sacrificate sulle presunte are, le urla delle anime dannate le loro espressioni di terrore, oppure grida di guerra. I balli, i suoni strani, le musiche misteriose sono, probabilmente, ricordi deformati di danze e canti rituali, propiziatori, degli antichi abitanti del Musinè". Il ricercatore torinese crede di poter scorgere nei "fuochi magici" verdastri "fosforescenze originate da sostanze animali o vegetali in decomposizione", ma solo in parte: altri possono essere stati generati dall'accensione di resine e grassi animali nelle coppelle (incisioni appunto di piccole coppe) che abbondano sul monte, fra i 400 e i 900 metri di quota. Perchè genti primitive, assillate da problemi pratici da cui dipendeva la loro sopravvivenza, si sarebbero presa la briga di accendere fuocherelli in buche scavate faticosamente nella roccia? Per imitare le stelle ...

La risposta è logica: sembra che altrettanto accadesse in Perù, in Spagna e in Francia. A proposito di quest'ultimo paese, disponiamo della testimonianza del professor Denis Peironj, il quale portò alla luce presso La Ferrassiè (Charente) un'incisione raffigurante l'Orsa Maggiore. La stessa si trova anche sul Musinè. Ma sul monte piemontese c'è di più, molto di più, e Salomone lo cerca, confrontando i vari gruppi di coppelle con le carte astronomiche. E scopre qualcosa di unico al mondo: un'intera mappa celeste incisa sulla roccia! C'è tutto l'emisfero boreale, dalla Croce del Nord (o Cigno) alle due Orse, da Boote a Cassiopea, dalla Saetta al Triangolo, dalla Colomba alla Cintura di Orione, alle enigmatiche Pleiadi che suggellano i segreti di tante remote civiltà. L'insieme di altre coppelle, però, non dice nulla che si riferisca all'emisfero boreale: potrebbe dire qualcosa, forse, riguardo a quello australe, come potrebbe tratteggiarci costellazioni sconosciute o formare combinazioni puramente casuali.

Andiamo cauti. Se vogliamo sognare, però, ricordiamo come sia inspiegabile la citazione dantesca della Croce del Sud, una costellazione assolutamente non visibile dal nostro emisfero e che nessuno, all'epoca in cui visse il poeta, avrebbe potuto scoprire dall'Europa.

 

DIVAGAZIONI SPAZIALI

A proposito di divagazioni spaziali, val la pena di ricordare un'insieme di bellissime stilizzazioni: il Sole, un cacciatore e la sua preda, una barca con due occupanti. Una barca in montagna? Niente di eccezionale, si sarebbe indotti a pensare, considerando che al tempo in cui vennero presumibilmente eseguite le incisioni il fondovalle era coperto da un vasto lago formatosi alla fine dell'ultima glaciazione. Un particolare pare incoraggiare gli "amici degli UFO": la barca, dalla chiglia tondeggiante, sembra navigare sopra i cacciatori, sopra il Sole, proprio come le misteriose "conchiglie volanti" dell'India, dell'Indocina, dell'America precolombiana. Non vogliamo qui certo fare della fantascienza: siamo però convinti che alcune misurate concessioni alle ipotesi più ardite servano sia a stimolare i ricercatori, sia a ravvivare l'interesse per gli appassionanti enigmi del nostro passato. Il Musinè ha un compagno non meno affascinante: il Ciabergia, alto 1170 metri, un altro punto strategico per l'ingresso nella valle di Susa. E qui, ancora una volta, Mario Salomone ha reperito per la scienza nuovo materiale di studio. Passandolo brevemente in rassegna, possiamo cominciare con una curiosa "ruota" di pietra con un diametro di 64 cm e uno spessore di 14. Gli studiosi tradizionalisti la chiamerebbero "macina", ma ci pare che con questo reperto le macine abbiano ben poco in comune. Vi notiamo, infatti, due coppelle di proporzioni notevoli: 12 cm di diametro, 7 di profondità. E c'è un taglio che, passando tra l'una e l'altra, divide esattamente in due la "ruota". Il disco (che circonda stranamente uno di quei volti senza bocca definiti "spaziali" in archeologia) darebbe già abbastanza da pensare di per se stesso, ma c'è di più: esso richiama subito alla memoria un'enigmatico masso marocchino posto nei pressi di Imzilen, chiamto Tazrout n'Troumit, "la pietra della romana" e anche "la pietra caduta dal cielo". Una leggenda vuole che una donna straniera vi uccidesse sopra il proprio figlioletto, credendo che il masso si aprisse, regalandole in cambio del sacrificio un favoloso tesoro. Ma qui abbiamo senza dubbio a che fare con una delle tante versioni del biblico sacrificio di Abramo, che, diffuso in tutta l'area mediterranea, sta a simboleggiare la rinuncia ai riti cruenti con vittime umane. "La definizione berbera "pietra della romana", osserva l'etnologo francese Jean Mazel, "non ha alcun riferimento all'epoca romana, ma si richiama alla parola roumi e ai suoi derivati iroumain (plurale) e troumit (femminile), designanti sia qualcosa di estraneo all'ambiente umano, sia un'epoca antichissima, perduta nella notte dei tempi, come tutto ciò che è anteriore all'Islam". Non sarebbe dunque illogico pensare che questo strano masso sia servito ai culti di un'umanità primitiva imparentata con quella che incideva sulle pareti del Tassili i famosi "mostri dalla testa rotonda" scoperta da Henry Lothe. Alcuni contadini dicono: si crede che questa parete sia caduta dal cielo, con le incisioni già fatte, proveniente da qualche altro mondo. La ruota del Ciabergia potrebbe essere servita benissimo, come quella marocchina, a scopi sacrificali: il fatto che la zona sia stata abitata è ampiamente dimostrato dalle numerose coppelle, dai segni solari, dai graffiti visibili nei dintorni, alcuni dei quali chiaramente antropomorfi o zoomorfi. Sorprendenti sono pure i cosiddetti "massi con il cappello", due rocce levigate dai ghiacciai o dagli agenti atmosferici sulle quali sono state collocati enormi pietroni. Sono indubbiamente opera dell'uomo: uno di quei "cappelli", di forma irregolare, misura 3,30 metri di lunghezza ed è posto sopra un macigno alto 6 metri, sul quale è stato scavato un incavo per trattenerlo. L'altro è un tronco di piramide, altro 2,15 metri, issato su un masso che si leva a 7,10 metri dal terreno. "Notevole", dice Salomone, "è il fatto che i costruttori abbiano sistemato sotto questo "cappello" una grossa pietra appiattita per mantenerlo nella posizione voluta. Gli incavi sono perfetti, tanto che l'opera si è conservata tale e quale, malgrado le condizioni meteorologiche non certo favorevoli, per secoli e secoli, fino ai nostri giorni ..."

 

I FAVOLOSI GIGANTI

Di che cosa si tratta? Con molta probabilità di monumenti a carattere religioso, forse del ricordo del culto dei giganti, ai quali il cosmologo Deins Saurat e l'etnologo John Layard collegano l'erezione dei dolmen e dei menhir. Secondo Saurat, a piazzare le colossali pietre furono dapprima i titani stessi, quindi gli uomini, i quali avrebbero inteso così "evocare e far rivivere gli dei", cioè gli smisurati esseri divinizzati dalla loro immaginazione. Ai giganti e ai loro adoratori (sempre stando alle teorie dei due studiosi, condivise da molti altri) dovremmo attribuire pure i cromlech, formati da menhir disposti in circolo, a rappresentare appunto la cerchia delle divinità. Famosissimo è quello di Stonehenge, in Inghilterra, le cui origini, antichissime, hanno dato vita ad innumerevoli leggende. Ebbene, anche il Piemonte ha la sua piccola Stonehenge. Sul Ciabergia, a quota 1100, si trova un allineamento di monoliti alti da 1,40 a 2,20 metri, disposti in semicerchio, indubbiamente a formare un cromlech. Molti sono scomparsi, undici sono caduti, scalzati dalle radici degli alberi circostanti, ma sette sono ancora eretti, a suggestiva testimonianza di un passato sul quale non potremo forse fare mai luce completa. Come si è giunti alla scoperta di quest'altro straordinario museo preistorico all'aria aperta? "In un modo molto facile per chi sa leggere la pietra", sorride Salomone. "Ci ha guidati una vera e propria carta topografica, una cosiddetta "mappa litica" incisa su un masso lungo 3,60 metri e largo 2,20, con coppelle e solchi che le collegano. Le prime rappresentano gli insediamenti, i secondi le strade da percorrere per raggiungerli". Eccoci dunque di fronte all'affascinante mistero delle coppelle, questo remoto, semplice e ingegnosissimo alfabeto universale. Oggi sappiamo che veniva usato tanto a rappresentare costellazioni, quanto ad anticipare la segnaletica stradale, a fornire indicazioni di vario genere. Ma non sappiamo tutto, né possiamo sospettare quanti altri messaggi i nostri lontani antenati ci abbiano lasciato: decifrarli significherebbe gettare lo sguardo in uno sconcertante, insospettabile passato ...