esperimento russo del sonno: una storia con cui non chiudere occhio

esperimento russo del sonno: una storia con cui non chiudere occhio

L’esperimento russo del sonno è un racconto che è stato narrato da molti siti web, facendo interrogare alcuni utenti sulla veridicità dei fatti descritti. Se è ormai assodato che si tratti di una creepypasta, ovvero di una storia di pura fantasia, è vero che le diverse versioni presentano alcuni errori storici, come ad esempio l’ufficiale in capo al reparto di ricerca che dovrebbe essere un Ex-KGB, quando il Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti fu fondato soltanto nel 1954. I fatti narrati sono frutto della fantasia, ma la realtà ci ricorda che esperimenti sulla capacità umana di resistenza al sonno furono condotti durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per approfondire leggi anche:

I 10 esperimenti sugli esseri umani più diabolici della storia

Ci troviamo agli albori dell’impero sovietico, alla fine degli anni ’40. La guerra fredda è appena cominciata e i russi stanno conducendo delle ricerche per tenere il passo con l’arrembante tecnologia americana. Cinque uomini furono selezionati per un ingrato compito: scoprire cosa possa succedere nel caso in cui non si chiuda occhio per due settimane. Questo tipo di tortura venne inflitta a cinque dissidenti, cinque nemici della Russia considerati dei traditori. Il metodo utilizzato dagli scienziati fu semplice: utilizzare del gas stimolante all’interno di una stanza sigillata, riuscendo a controllare i livelli di ossigeno e anidride carbonica.

Il controllo dei pazienti sarebbe avvenuto “a vista”, perché le telecamere a circuito chiuso non erano disponibili nell’URSS. All’interno della stanza erano presenti viveri sufficienti per un mese, brandine spartane per stendersi (ma non dormire), acqua corrente e un bagno, oltre che libri con i quali trascorrere le interminabili ore di attesa.

All’inizio il test sembrò svolgersi per il meglio. Durante i primi cinque giorni i prigionieri non si lamentarono, ma passarono il tempo a raccontarsi fatti della propria vita, via via più drammatici col trascorrere del tempo. Se il primo giorno i discorsi erano leggeri, alla fine del quinto i racconti erano, da parte di tutti, sprofondati nella più tetra malinconia.

Ai prigionieri era stato falsamente promesso che sarebbero stati rilasciati se fossero riusciti a non dormire per 30 giorni. Questo barlume di speranza li aveva portati a confidare in una libertà che non sarebbe mai stata raggiunta, ma gli consentì, almeno inizialmente, di mantenersi vigili in attesa di migliori eventi futuri.

Trascorsi cinque giorni i cinque ospiti della camera cominciarono a rimpiangere le proprie azioni, dannandosi per quanto li aveva portati a finire all’interno di quella prigione senza sollievo. La paranoia era incombente, e smisero completamente di dialogare fra loro. Cominciarono, a turno, a sussurrare al microfono della stanza, ad affacciarsi alle finestre pronunciando frasi a caso. Le loro paranoie si trasformarono in competitività con gli altri, e ognuno dei cinque si riteneva superiore agli altri, meritevole di una salvezza che non sarebbe mai stata ottenuta.

Alla fine del nono giorno si verificò il primo episodio di follia: una delle cavie cominciò a urlare a squarciagola, correndo per la stanza per tre ore a fila. Gli altri prigionieri non se ne curarono minimamente, e continuarono a bisbigliare frasi denigratorie ai microfoni e alle finestrelle. Quando il primo smise di urlare, esausto e con le corde vocali distrutte, un altro cominciò a dannarsi. Gli altri prigionieri presero i libri, li sporcarono con le proprie feci e li appiccicarono di fronte alle finestrelle, in modo che gli scienziati non potessero più vedere cosa accadesse nella stanza.

LE URLA SI SPENSERO, COME UNA CANDELA CON UN SOFFIO DI VENTO

Per tre giorni gli scienziati non udirono alcun suono, nonostante i microfoni funzionassero ancora perfettamente. I sensori ambientali posizionati nella stanza confermavano che i cinque soggetti erano tutti vivi, e consumavano ossigeno come se fossero sotto un intenso sforzo.

Esperimento-Russo-sonno

Allo scoccare del quattordicesimo giorno gli scienziati vollero tentare di stabilire un contatto con i prigionieri, principalmente per capire cosa fosse successo all’interno della stanza. Con un messaggio all’interfono annunciarono: “Apriremo le porte della stanza per riparare i microfoni. Allontanatevi dalle porte o apriremo il fuoco. Uno di voi sarà immediatamente liberato alla fine dell’operazione“.

Lo stupore degli scienziati crebbe a dismisura quando udirono una frase pronunciata con voce sveglia e rassicurante:

NON VOGLIAMO ESSERE LIBERATI

Gli scienziati decisero di procedere all’interno della stanza, liberando preventivamente la camera dal gas stimolante. Le cavie cominciarono a urlare disperate perché fosse riacceso il sistema del gas, gridando e piangendo come si trattasse della loro stessa vita. Quando gli scienziati aprirono la porta, a mezzanotte del quindicesimo giorno, lo spettacolo che trovarono fu sconcertante.

Delle cinque persone inizialmente entrate nella camera una di loro era morta, ma le altre quattro non potevano certo essere considerate vive. Il prigioniero morto era stato sventrato e scarnificato, in modo da utilizzare la sua carne come tappo per le fognature della stanza. Nella camera si era creato un livello di circa 10 centimetri di acqua, sangue e feci.

I quattro prigionieri erano a loro volta feriti gravemente, con porzioni di muscoli, grasso e pelle ampiamente staccate dai propri corpi. Le ossa, visibili sotto alla carne staccata, indicarono che le ferite erano state inferte con le mani e non con i denti. Tutte i danni subiti dai prigionieri erano auto-inflitti.

Gli organi presenti nel ventre erano stati rimossi e posizionati vicino al proprio corpo, mentre cuore e polmoni erano ancora al loro posto. Pelle, muscoli e grasso attaccati alla cassa toracica erano stati asportati, mentre le vene erano ancora integre. L’intestino delle cavie, posizionato a terra, fu visto digerire della carne. Si capì subito che era la loro stessa carne in fase digestiva.

Quando i soldati tentarono di portare via le cavie dalla stanza queste opposero una resistenza sovrumana, continuando a gridare affinché fosse riacceso il gas. Nonostante la mancanza di cibo e le ferite mortali che ognuna di loro si era auto-inferta, un soldato russo fu ucciso con uno squarcio alla gola, mentre un altro venne ferito gravemente ad un’arteria e gli vennero strappati gli organi genitali.

Nel tentativo di portarli fuori da quell’inferno, uno dei prigionieri fu ferito a morte alla milza. Quando un medico tentò di sedarlo gli venne rotto un braccio e una costola, prima che riuscisse a iniettagli una dose dieci volte superiore al normale di morfina. Il suo cuore si fermò dopo cinque minuti durante i quali il prigioniero sembrava una mosca impazzita all’interno della stanza, continuando a gridare e a ripetere la parola:

ANCORA

Quando il cuore smise di battere il prigioniero ebbe altri tre minuti di vita, nei quali ripeté la parola “ancora” sino a che ebbe voce in corpo.

Delle cinque cavie entrate nella stanza quindici giorni prima due erano morte e le altre erano in fin di vita. Due di loro, quelli che avevano le corde vocali ancora sane, implorarono ininterrottamente i medici affinché gli ridessero il gas.

Uno dei tre prigionieri ancora in vita fu operato d’urgenza, procedendo a riposizionare gli organi all’interno del corpo. L’uomo era immune agli anestetici, che rifiutava volontariamente. Quando gli fu avvicinata la mascherina del gas tranquillante riuscì quasi a strappare le cinghie di cuoio che lo tenevano bloccato, nonostante fosse tenuto fermo da un soldato del peso di oltre 90 chili. I medici procedettero a somministrare una dose di anestetico superiore al normale, e il prigioniero si addormentò, morendo all’istante.

Delle cinque cavie entrate nella stanza, erano morte in tre. Il penultimo paziente in vita fu uno di quelli che avevano gridato a squarciagola, e aveva ormai perso l’uso della voce. Quando gli avvicinarono la mascherina del gas alla bocca, l’uomo scosse violentemente la testa in segno di disapprovazione. Uno dei medici, memore dell’esperienza drammatica con il paziente precedente, chiese all’uomo se preferisse che fosse condotta l’operazione senza anestesia. Il prigioniero annuì.

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Durante le sei ore passate a riposizionare gli organi, a coprire quel che era possibile con la pelle rimasta attaccata al corpo, il prigioniero non diede alcun segno di provare dolore, nemmeno un sussulto. Una delle infermiere presenti in sala rimase terrorizzata a vita, asserendo che, ogni volta che lo guardava negli occhi, l’uomo si pronunciava in un ghigno con le labbra, qualcosa che, dal profondo di quegli occhi scuri di dolore, assomigliava ad un sorriso.

Terminata l’operazione il chirurgo asserì che, forse, il prigioniero avrebbe anche potuto salvarsi. Il prigioniero però cominciò a rantolare ma, non potendo parlare, non riusciva ad esprimere quel che voleva. Portatagli una penna e un foglio scrisse:

CONTINUATE A TAGLIARE

Anche il quinto prigioniero fu operato senza anestetico, ma dovette essere paralizzato con un farmaco perché continuava a ridere e a chiedere del gas stimolante. Quando l’effetto del farmaco terminò, il prigioniero riprese a ridere e a chiedere il gas. Uno dei medici, incuriosito, gli chiese perché si fosse provocato quelle incredibili lacerazioni. La risposta fu destabilizzante: “Dovevo rimanere sveglio”.

I due prigionieri sopravvissuti furono immobilizzati e rimessi all’interno della stanza dell’esperimento, aspettando decisioni riguardo il loro destino. I ricercatori furono bersagliati di insulti dai militari, i quali gli rimproverarono di non aver raggiunto alcuno dei risultati sperati e di aver fatto morire tre delle cinque cavie. L’ufficiale in comando, reduce della seconda guerra mondiale, diede l’ordine di riaccendere il gas per vedere cosa sarebbe successo. Gli scienziati si opposero fermamente, ma non ci fu nulla da fare.

La camera stava per essere nuovamente sigillata, ma prima fu condotta quella che sarebbe stata l’ultima analisi sui pazienti. L’elettroencefalogramma rivelò che l’attività cerebrale dei due prigionieri era normale per la maggior parte del tempo, ma subiva dei picchi al ribasso durante alcuni momenti. Il cervello moriva per pochi istanti, per poi tornare alla vita poco dopo.

All’interno della camera, ancora aperta, erano presenti le due cavie e tre scienziati. La cavia con ancora le corde vocali intatte urlò a squarciagola affinché fossero chiuse le porte, e l’ufficiale presente fece la mossa di muovere la porta per chiuderla, con ancora i tre ricercatori presenti all’interno. Uno di questi ultimi, vista la scena e avvertito il pericolo, fulminandolo all’istante. Poi rivolse la pistola verso la cavia muta, freddandolo con le stesse modalità.

Gli scienziati rimasti nel mentre erano riusciti a fuggire, temendo che il loro collega fosse impazzito per lo stress e per il gas stimolante. L’uomo rivolse la pistola verso l’ultimo prigioniero vivo, gridandogli: “non rimarrò chiuso qui dentro con voi, non con te! Cosa siete in realtà? Devo saperlo!“.

Sorridendo, l’ultimo sopravvissuto parlò con voce calma.

Non hai ancora capito? Siamo la vostra follia, la voce selvaggia che si annida nel vostro cuore e che reprimete ogni giorno. Siamo l’urlo della vostra anima che sentite soltanto la notte, quando andate a dormire. Siamo tutto ciò che reprimete, quello che addormentate quando vi rifugiate in quel sonno che noi non possiamo calpestare“.

Il ricercatore rimase immobile per qualche secondo, che sembrò infinito ad entrambi. Poi si riebbe, alzò la pistola e sparò al prigioniero nel cuore, silenziando per sempre quella voce insopportabile.

Le ultime parole dell’ultimo prigioniero ancora in vita furono:

ERO…QUASI…LIBERO…

Inserito da Cristina Genna Blogger

 

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