Quando si dice Egitto si pensa subito alle piramidi e al Nilo, alla Sfinge e Tutankamon, ai tesori e ai misteri della Valle dei re; ma vi sono altri luoghi pervasi di misteri ancora non svelati. Uno di questi è il Serapeum di Saccara riportato alla luce da Auguste Mariette fra il 1850 e il 1852. Il luogo dove venivano sepolti i tori sacri di Apis. Questo era il nome che veniva dato al toro simbolo di fertilità e potenza sessuale e fisica. Il Dio si incarnava nel toro e quindi poteva esistere solo un toro sacro alla volta; quando ne moriva uno si cercava un altro esemplare con le stesse caratteristiche. I tori morti venivano sepolti nel Serapeum con sontuosi funerali.
In Egitto vi erano due Serapeum: uno a Saccara, dove si adorava Apis, e l’altro ad Alessandria, dedicato a Serapis. Serapeum difatti deriva proprio da Serapis.
Mariette scoprì, nel 1850, una galleria ostruita da una roccia calcarea che fu fatta saltare.
Nel 1852 gli scavi riportarono alla luce una seconda galleria sotto la prima molto più antica ove furono trovate le bare di legno dei Tori. Fu rinvenuto intatto il sepolcro di Apis XIV, datato nel quarantaquattresimo anno di Ramesses II.
In totale la spedizione di Mariette trovò 24 sarcofaghi risultati tutti saccheggiati e lasciati aperti; la mummia del principe Khaemwese figlio di Ramesses II, che era stato incaricato di costruire alcune volte del sotterraneo e che scelse di essere sepolto con i tori sacri. Fu rinvenuta anche la statua dello scriba seduto, considerata fra le più grandi sculture mai ritrovate, e la statua del dio nano Bes.
Nel 1952 furono scoperte altre sepolture più piccole che coprivano il periodo fra la 18a e la 19a dinastia. Due bare risultarono intatte, quelle di Apis VII e di Apis IX.
Il Serapeum è una tomba sotterranea, ingrandita durante il "nuovo regno" sotto la gestione di Ramesses II, che contiene sarcofaghi di granito e di basalto con i resti dei tori Apis. Queste scatole di pietra pesano almeno 65 tonnellate ciascuno e, con il coperchio, raggiungono 100 tonnellate.
Ogni basamento è alto circa 11 piedi, lungo 13, largo 7,5.
Quando Auguste Mariette lo ha scoperto ha registrato 24 sarcofaghi di basalto e granito posizionati ancora nelle cripte scavate a distanza regolare nel calcare.
[Foto: Alcuni dei sarcofaghi]
All’interno delle due gallerie si trovano oggi 21 sarcofaghi megalitici di basalto, lunghi 4 metri, larghi oltre 2 e alti 3,30, del peso di circa 100 tonnellate compreso il coperchio di 27 tonnellate.
Rifiniti con elevata accuratezza, i sarcofaghi presentano superfici perfettamente piane e levigate tanto da potersi specchiare. Gli angoli sono esattamente retti in ogni lato e di conseguenza le pareti interne risultano parallele fra loro. Il coperchio combacia in modo perfetto tanto da produrre una chiusura ermetica e impedire l’accesso dell’aria fra le due superfici.
Un lavoro di questa precisione appare estremamente difficile da realizzare con gli utensili ordinari che la scienza ufficiale assegna alla civiltà egizia. Quindi ci si domanda quali attrezzi siano stati usati e quale metodo di lavorazione sia stato seguito per ottenere tale risultato, in un epoca ove era conosciuto solo il rame.
Per quale motivo si è dovuto estrarre un blocco di granito o di basalto di oltre 100 tonnellate e scavarlo all’interno con una esattezza maniacale e situarlo in un sottosuolo in stretti loculi scavati nel calcare, percorrendo angusti passaggi che non potevano certo ospitare le decine di lavoratori impegnati nel loro trasporto e collocazione.
Christopher Dunn si è rivolto a ditte specializzate nel settore del taglio del granito, ma nessuna possedeva l’apparecchiatura adatta per eseguire un tale lavoro di precisione e ricavare un sarcofago paragonabile a uno di quelli del Serapeum di Saccara. Né tanto meno fornire un coperchio. L’unica cosa che avrebbero potuto produrre era una scatola formata da lastre di granito unite insieme; un lavoro, per giunta, altamente costoso. Note sono le teorie di Dunn che contemplano l’uso di trapani con punte diamantate per riuscire a forare e tagliare il granito, in particolare ricco di quarzo.
Perché si è cercata una simile precisione nell’esecuzione del lavoro in un'epoca dove, secondo le nostre conoscenze, non vi era tale necessità?
La precisione è tipicamente nostra, è una necessità del mondo attuale, affinché tutto riesca a funzionare. È ciò che serve per disciplinare il funzionamento delle cose. Un macchinario funziona se tutte le sue parti sono state costruite e assemblate con assoluta precisione. Quindi la precisione è una prerogativa necessaria per la nostra civiltà. Senza tale precisione le auto smetterebbero di funzionare,. Gli aerei rimarrebbero a terra, gli ascensori non scalerebbero i grattacieli, e così via. Oggi l’informazione viaggia attraverso cavi telefonici, si visualizza sugli schermi dei computer e si materializza nelle voci dei telefoni cellulari. Senza la precisione si avrebbe un totale black-out. Per questo la produciamo anche se il suo costo è elevatissimo.
Nel mondo antico la precisione era necessaria solo durante le guerre. La costruzione di macchine belliche che funzionassero al momento giusto richiedeva un'elevata precisione, altrimenti il costo da pagare era molto più elevato di quello necessario per produrla; era la vita.
Ma quale è stata la necessita di fabbricare 21, e in origine erano 24, sarcofaghi così perfetti?
Difficile anche pensare che artigiani possano aver prodotto superfici finemente lavorate e precise nelle loro misure.
Ecco allora aprirsi un dibattito fra Christopher Dunn, secondo il quale sarebbe stata impiegata una tecnologia avanzata e macchinari andati in seguito perduti in un cataclisma, e Margaret Morris che sposa la teoria del Dr. Joseph Davidovitz e il suo cemento battezzato "Geopolimero" ricavato da una antica formula egizia rinvenuta nell’isola di Seel.
Vi sono oggetti di diorite risalenti al 7000 a.C. che non possono essere stati tagliati o forgiati usando attrezzi primitivi. La quarzite è difficile da perforare usando punte diamantate oppure di carbonio di tungsteno.
Per Margaret Morris non sono stati usati macchinari tecnologici avanzati ma solo il geopolimero modellabile. Tale tipo di calcestruzzo può essere modellato e tagliato con attrezzi primitivi prima del suo indurimento, quindi giustificherebbe molti lavori eseguiti compresi i vasi di diorite. Miscele di cemento venivano messi sui torni da vasaio e con semplici attrezzi e le mani veniva data la forma voluta. Non vi era necessità di possedere complicati macchinari per ottenere la precisione nella fabbricazione di questi reperti.
Per Margaret Morris lo stesso procedimento sarebbe stato usato per ricavare i sarcofaghi del Serapeum.
Per Dunn i contenitori di basalto non possono essere stati creati con gettate di cemento polimerico. Sono stati costruiti nel sottosuolo dal momento che gli agenti atmosferici e l’escursione termica avrebbe certamente influito sulla precisione del lavoro modificando la pietra.
Nelle cave di Asswan esistono pietre di granito e diorite che presentano tagli e fori non spiegabili con l’uso di attrezzi di rame. Vi si può osservare ancora un obelisco, non completamente estratto, di ben 1200 tonnellate, che pone il problema del trasporto e della sua erezione.
Di contro, Margaret Morris indica l’uso del geopolimero per ricavare obelischi; metodo usato anche a Baalbek per il famoso Trilithon.
Il geopolimero risolve i problemi di estrazione, trasporto, taglio, sollevamento. Rende inutili macchinari preposti a tali scopi, ma non spiega tutti i manufatti rinvenuti in Egitto.
Secondo Dunn fare gettate di cemento dentro contenitori di materiale morbido come il legno, può non produrre quella precisione rilevata nella pietra, a causa del peso dei blocchi che provoca una pressione tale da inarcare le pareti del contenitore.
Il dottor Davidovitz ritiene che i blocchi della Grande Piramide siano stati ricavati versando il geopolimero in stampi di legno. I geologi difatti avrebbero trovato tracce delle venature del legno impresse sulla pietra.
L’analisi di un campione di roccia prelevato dal passaggio ascendente della piramide effettuato dal geologo Robert McKinney, ha evidenziato la natura artificiale della pietra: "...abbiamo trovato una roccia sconosciuta che non presenta le proprietà tipiche della pietra sedimentaria e presenta le venature del legno del rivestimento...".
Il geopolimero è l’unica soluzione logica per risolvere i misteri delle piramidi e dei monumenti e indica che i macchinari ipotizzati da Dunn non soddisfano le caratteristiche della costruzione e della giunzione delle pietre. Non si può immaginare la mole di lavoro derivata dalla necessità di accostare perfettamente i blocchi fra di loro, posizionarli nel punto esatto, formare gli incastri con estrema precisione, preparare il terreno ove posizionare la costruzione. Quindi per la signora Morris solo il geopolimero è la risposta logica.
Christopher Dunn dissente su tutto e indica che i manufatti evidenziano l’uso di macchinari per tagliare e forare, non le colate di un qualsiasi tipo di cemento, anche a causa della enorme quantità di quarzo presente nelle pietre.
Margaret Morris controbatte affermando che gli oggetti di granito sono stati ricavati da colate di cemento e non vi è stata la necessità di reinventare la storia. Gli attrezzi di rame erano sufficienti per tagliare il geopolimero nel momento in cui questo era morbido. A suo dire vi sono tracce delle seghe di rame sulle pietre, la tipica traccia di ossidazione.
Inoltre a Saccara vi sono 18 colonne di quarzite alte undici metri in un cortile del tempio di Pepi II. Anche adoperando la tecnologia moderna rimane difficile tagliare la quarzite.
L’egittologia non sa ancora spiegare come gli egizi abbiano prodotto smisurate colonne arrotondate in pietra dura. Il loro diametro non è sempre un cerchio perfetto e la mancanza di tracce di un sostegno per mantenerle in posizione orizzontale, mentre vengono modellate da un eventuale tornio, fa pensare a prodotti artificiali e quindi al cemento. Potrebbero anche aver usato uno stampo costruito con lo stesso cemento per la loro formazione.
Inoltre, il gigantesco macchinario immaginato da Dunn non poteva sparire in seguito ad un cataclisma. Quantomeno si doveva trovare testimonianza di queste stupefacenti macchine nei documenti antichi, nelle scritture, nei bassorilievi, nelle illustrazioni. Su questo la Morris sembra aver ragione perché mancano tali testimonianze.
A tal punto anche noi vorremmo dire la nostra riportando alla memoria la vicenda delle pareti scomparse dal tempio di Hator a Dendera; vicenda documentata da Elebracht, riportata da Peter Krassa e Habeck nel loro libro "la Luce dei Faraoni". Tutti si chiedono se sopra quei bassorilievi occultati vi era la raffigurazione di una moderna tecnologia, ma purtroppo nessuno può fornire una risposta; si può solo rimarcare che nelle pareti rimaste in loco vi sono riprodotte lampade ad incandescenza.
Non sappiamo chi è nel giusto nel formulare ipotesi riguardo alla lavorazione del granito e del basalto, perché solo di ipotesi si tratta; non certamente gli egittologi, che affermano di poter ricavare l’interno dei sarcofaghi colpendo il granito con una sfera di dolerite, una roccia basaltica a grana grossa, di otto pollici, fino a realizzare la forma o la figura desiderata. Forse per il sarcofago grezzo rinvenuto a Menfi, ma non certamente per ottenere le superfici dei sarcofaghi del Serapeum di Saccara, né in quello della camera del Re della Grande Piramide. Una sfera di circa due metri e quaranta non può formare un raggio d’angolo di 2,85 centimetri e di novanta gradi.
fonte:edicolaweb.net