L’uomo che più di tutti si avvicinò alla vera comprensione dei misteri del Sud America fu l’inglese Percy Harrison Fawcett, da molti indicato come il più grande esploratore del XX secolo, la quintessenza dell’avventuriero.
Fawcett, che nacque in Inghilterra nel 1867, entrò a far parte dell’esercito del regno molto presto, all’età di 19 anni. Fu subito spedito nell’isola di Ceylon, che in quel tempo apparteneva all’immenso impero britannico. Quindi viaggiò in Africa del Nord, dove fece parte dei servizi segreti imperiali.
Durante quegli anni si sviluppò in lui il desiderio di studiare i testi antichi, soprattutto quelli che descrivono il diluvio universale, come la Bibbia o l’epopea di Gilgamesh, in modo da acquisire dati per gettare le basi della sua teoria: l’esistenza di una grande civiltà anti-diluviana, che si era estesa in tutto il globo, le cui vestigia erano nascoste da qualche parte nel mondo. Ma dove cercare? Si rese conto che trovare le prove dell’esistenza di una così antica civiltà sarebbe stato complicato e quasi impossibile.
Le casualità della vita lo portarono però in Sud America. Nel 1906 prese parte ad un viaggio esplorativo nella zona di frontiera tra Bolivia e Brasile, allo scopo di cartografare l’area per conto della Società Geografica Britannica. Proprio in quegli anni Fawcett venne a conoscenza di un documento risalente al 1753 (oggi denominato manoscritto 512), che descrive il viaggio dell’avventuriero Francisco Raposo nel XVIII secolo, che s’inoltrò nelle foreste del centro del Brasile. Ecco un estratto del documento:
Francisco Raposo partì al comando di 18 coloni, e, dopo moltissime avventure, più in là di un enorme zona pantanosa, dovette attraversare delle aspre montagne. Una volta che riuscirono a passare dall’altra parte videro delle radure e in lontananza la selva vergine. Si inviò un manipolo di nativi in avanscoperta e quando tornarono riferirono di aver trovato le rovine di una città perduta
Nel documento 512, che fu scritto dal religioso J.Barbosa, e diretto al Vicerè del Brasile Luis Peregrino de Carvalho Menesez (che tutt’oggi si conserva nella biblioteca nazionale di Rio de Janeiro, sezione manoscritti, opere rare), si narra inoltre che gli avventurieri esplorarono la città perduta il giorno seguente. Entrarono meravigliati in una grande città di pietra, con muri ciclopici similari a quelli di Sacsayhuaman. Nella parte centrale dell’enigmatica città vi era una piazza con, al centro, un monolito nero molto alto, al culmine del quale vi era una statua di un uomo che indicava il nord.
L’intero documento 512 fu pubblicato nella rivista dell’Istituto di Storia e Geografia Brasiliana nel 1839.
La relazione di Barbosa fu reale o semplice frutto della fantasia? Per ora non possiamo dare una risposta certa a questa domanda, quel che è certo è che Fawcett ne fu affascinato e iniziò a pensare di esplorare l’area che era stata attraversata inizialmente da Raposo, 163 anni prima.
Un altro degli indizi che guidarono Fawcett verso il Brasile centrale fu una statuetta, di basalto nero, raffigurante un sacerdote che mostrava una specie di tavola con dei segni in bassorilievo, forse sillabici. La statuetta, che fu regalata a Fawcett dallo scrittore Rider Haggard (autore de Le miniere del Re Salomone), proveniva dal Brasile e non dal vecchio mondo. Vi sono 22 segni riportati nella tavola, come si vede nella foto N.10.
Dal 1906 al 1925 Fawcett compì sei spedizioni nelle foreste boliviane e brasiliane. In una di queste risalì il Rio Heat (zona di confine tra Bolivia e Perù, dipartimento di Puno), riportando anche dettagliate descrizioni della fauna trovata. Descrisse vari canidi pressoché sconosciuti in quel tempo e delle grandi anaconda, una di ben 20 metri. Non sappiamo se siano mai esistiti serpenti così enormi (l’anaconda più grande del mondo sembra sia stata misurata 9 metri), certo è che le condizioni ambientali nelle foreste boliviane e brasiliane di un secolo fa erano completamente differenti da quelle di adesso.
Durante queste avventurose spedizioni, Fawcett venne in contatto con numerose tribù di nativi e si convinse che la città perduta (che lui denominò Z, forse per brevità), dovesse trovarsi nella Serra do Roncador, un immensa zona montagnosa e forestale, quasi del tutto inesplorata, che si estende per circa 300 km da nord a sud tra i fiumi Xingù e Araguaia (affluente del Tocantins). Il nome Roncador (ronzio) deriva dal fatto che il vento produce strani ronzii sibilando nelle rocce della zona.
Fawcett decise d’intraprendere una spedizione alla ricerca della città perduta narrata da Barbosa nel documento 512 e insieme a suo figlio Jack (nato nel 1903), e all’amico Raleigh Rimmel s’inoltrò nella selva vergine con una destinazione ignota. L’ultimo segno lasciato da Fawcett fu un messaggio telegrafico inviato il 29 maggio 1925 a sua moglie, avvisandola della partenza.
Gli esploratori partirono da Cuiabá e camminarono verso il Río Xingú con direzione nord-ovest. Dopo circa 8 giorni di cammino giunsero ad un punto chiamato "campamento del caballo muerto", (11 gradi 43' Sud-54 gradi 35' Ovest), dove si separarono dalle guide.
Dopo di ciò non si seppe mai più nulla né di Fawcett, né degli altri due partecipanti alla spedizione. Inizialmente si pensò che gli avventurieri fossero stati uccisi da nativi Kalapalos o dagli autoctoni d’altre tribù che vivono ancora oggi nei pressi del Rio Xingù: Arumas, Suyas, Xavantes. Qualcuno propose che gli esploratori fossero morti di malaria fulminante o uccisi da animali selvaggi (orsi o giaguari), ma la stranezza fu che non si trovarono mai i corpi.
La prima vera spedizione nella zona per cercare di svelare il mistero della presunta morte di Fawcett ebbe luogo nel 1928 e fu guidata dallo statunitense George Dyott. Si narra che fu preso prigioniero da alcuni indigeni, riuscendo poi a scappare in modo rocambolesco. Secondo lui Fawcett fu ucciso dal capo della tribù dei Nahukwa, chiamato Aloique.
Nel 1930 lo statunitense Albert Winton s’inoltrò nella selva del Roncador, ma non fece mai più ritorno. Nel 1932 lo svizzero Stefan Rattin insieme al giornalista Horacio Fusoni organizzarono una spedizione a capo di 14 uomini, brasiliani e paraguagi. Nessuno fece mai più ritorno.
Nel 1937 l’esploratore Willi Aureli riportò che alcuni autoctoni Carajà si riferivano ad un gran capo bianco che viveva con gli Xavantes, nel profondo della selva. Anche il ricercatore Henry Vernes iniziò a raccontare che Percy Fawcett era vivo e aveva deciso di vivere lontano dalla cosiddetta civiltà, a capo di una tribù d’indigeni custodi dei misteri di un’antica civiltà, ora scomparsa.
Nel 1951 l’antropologo brasiliano Orlando Villas Boas viaggiò varie volte nella zona del Roncador tentando di ripercorrere il percorso seguito dall’esploratore inglese. Ebbe contatti con molti indigeni e giunse alla conclusione che Fawcett e gli altri due membri della spedizione furono uccisi da alcuni indigeni Kalapalos. Secondo queste testimonianze i corpi del figlio di Jack Fawcett e di Raleigh Rimmel furono gettati in un fiume, mentre ai resti di Fawcett fu data sepoltura in un luogo segreto. Orlando Villa Boas trovò anche dei resti umani (ossa), che inizialmente furono attribuiti a Fawcett, ma successivamente si rivelarono non appartenenti all’inglese.
Nel 1996 Renè Delmotte e James Linch, s’inoltrarono nella selva del Roncador, ma 12 dei 16 partecipanti alla spedizione furono presi prigionieri dai nativi Kalapalos e rilasciati in seguito in cambio d’alcuni beni materiali.
Due anni dopo l’esploratore inglese Benedict Allen riuscì ad entrare nel territorio dei Kalapalos e ad intervistare un anziano indigeno detto Vajuvi. Il nativo smentì categoricamente che uomini della sua tribù abbiano ucciso Fawcett e sostenne che le ossa ritrovate da Villas Boas non appartenevano all’avventuriero inglese.
Anche nei primi anni del secolo attuale ci furono vari tentativi di svelare il mistero della morte di Fawcett, per esempio nel 2005 lo scrittore David Grann visitò la tribù Kalapalos e gli venne assicurato che, secondo le tradizioni orali della zona, Fawcett passò alcuni giorni nel villaggio, ma poi si diresse ad est in una zona ritenuta pericolosa e occupata da autoctoni bellicosi.
Fino a qui i fatti. Il mistero di come sia morto l’esploratore inglese e soprattutto cosa celi la Sierra del Roncador rimane insoluto.
A mio parere si possono analizzare due teorie principali per tentare di spiegare che cosa cercasse realmente Fawcett e per svelare se ci sia andato vicino. La prima è l'ipotesi mistica e la seconda, più probabile, è la teoria dell'antica civiltà perduta dello Xingú, recentemente scoperta e studiata dall’archeologo statunitense Heckemberger.
Secondo la visione mistica ed esoterica, che ebbe inizio con l’altro figlio di Fawcett, Brian (1906-1984) e con il nipote dell’esploratore, Timothy Paterson (1935-2004), la Sierra do Roncador sarebbe uno dei luoghi sacri del mondo, una specie di porta d’accesso ad un mondo sotterraneo sconosciuto agli umani. I cosiddetti intraterrestri vivrebbero nel famoso Tempio di Ibez dove si sarebbero ritirati i discendenti di Atlantide, poco dopo il diluvio universale.
Paterson era convinto che suo zio avesse trovato l’entrata segreta che lo avrebbe condotto fino a Ibez, una specie di El Dorado Atlantideo, dove sarebbe racchiuso il mistero del nostro remoto passato e forse la chiave del nostro incerto futuro. Nel 1978, in uno dei suoi viaggi di esplorazione presso le terre attigue al Rio Xingù, venne in contatto con un anziano, che gli assicurò che la città misteriosa cercata da Fawcett (da dove proveniva la statuina di basalto, raccolta da Haggard vicino al cadavere dell’archeologo Marple White, l’unico occidentale che sarebbe mai entrato nella città Z), non era altro che Manoa (anche se molte leggende amazzoniche ubicano la leggendaria Manoa molto più a nord rispetto al Roncador, nell’attuale Stato brasiliano del Roraima).
Paterson dichiarò che suo zio visse ad Ibez fino al 1957, la vera data della sua morte.
Secondo Paterson i 22 segni sacri che erano incisi nella statuetta che scomparve insieme a Fawcett non erano altro che i caratteri dell’arcaico alfabeto di Atlantide, dal quale sarebbero poi derivati quello dei Fenici e degli Ebrei. Anche lo studioso italiano Pincherle analizzò il disegno del supposto alfabeto che era impresso nella statuina, e giunse alla conclusione che si trattasse realmente di caratteri sconosciuti anti-diluviani. Pincherle interpretò anche l’incisione posta ai piedi della statuina come UT NAISFM, molto simile al babilonese UT NAPHISTIM, ossia Noè. Secondo i due studiosi anche il nome Manoa, a lungo indicato come la sede dell’arcaica città individuabile come il vero El Dorado, significherebbe Porto di Noè, ovvero il luogo dove Noè avrebbe approdato dopo il diluvio e da dove avrebbe poi fondato una civiltà prodigiosa.
Uno dei più famosi mistici che visse a lungo nella zona della Serra do Roncador fu il bavarese Udo Oscar Luckner (1925-1986). Secondo questo studioso esoterico, che giunse in zona attratto dalle leggende che si erano venute formando sulla fine di Fawcett, nella zona del Roncador esiste una porta segreta, che condurrebbe nel regno dell’inframondo, abitato appunto dagli intraterrestri. Luckner, chiamato anche lo ierofante del Roncador (papa del Roncador), fu il fondatore del Monastero Teurgico del Roncador, ed ebbe molti adepti, adoratori del tempio di Ibez. Nel suo libro mistico-esoterico Misterios do Roncador, narra il suo viaggio nelle caverne sotterranee situate nel sottosuolo della Sierra do Roncador dove sarebbe situato il tempio di Ibez.
Secondo alcune leggende diffuse tra gli indigeni Borro e Xavantes in tempi remotissimi giunsero presso la Serra do Roncador degli Dei dal cielo, esseri di proporzioni minute alti non più di 120 cm, alcuni di essi con 6 dita sia nelle mani che nei piedi e con crani enormi, sproporzionati rispetto all’esile corpo.
Ancora oggi si possono ammirare nella Gruta dos Pezinhos (non lontano dalla città di Barra do Garcas), varie impronte di piedi con tre, quattro e sei dita.
Sebbene non vi siano prove definitive per fare luce sulle credenze di Paterson e Luckner, a mio parere il mondo mistico di alcuni sensitivi (come anche Daniel Ruzo o Edgar Cayce), deve essere tenuto in considerazione, sia perché le nostre conoscenze sui poteri della mente sono ancora approssimative, sia perché le intuizioni di sensitivi possono rivelare la giusta via da seguire per dipanare alcuni misteri.
Analizzando la seconda teoria per spiegare cosa cercasse Fawcett e forse cosa trovò Raposo nel suo viaggio del 1753, si devono considerare gli ultimi studi dell’archeologo statunitense Michael Heckemberger.
A partire dal 1993 Heckemberger ha compiuto ricerche e lavoro di campo nel parco nazionale Xingù, presso i villaggi degli Kuikuro. Inizialmente il capo-tribù chiamato Afukaka lo portò in un sito considerato sacro e importante detto Nokugu, dove si ritiene vi sia l’anima di un giaguaro. Nelle vicinanze, dopo vari scavi che si protrassero per mesi, furono trovati i resti di strade e antichi canali. Presto s’iniziarono a delineare i resti di un grande villaggio, costruito in forma circolare dove da una piazza centrale si dipartivano varie strade, che connettevano il centro abitato con altri villaggi, come in una rete. Il nome di questo antico insediamento è Kuhikugu. Si pensa che furono gli antenati degli Kuikuro a costruire il villaggio pre-colombiano. Probabilmente intorno al XVIII secolo Kuhikugu era in piena attività e la zona forestale circondante era molto più densa e intricata di quella attuale. Heckemberger ha provato che le zone costruite erano enormi, ognuna di circa 250 chilometri quadrati. Si evince pertanto che la popolazione totale dell’area dovesse essere di varie migliaia di persone, se non decine di migliaia. Dopo approfonditi scavi archeologici si è trovato vario materiale ceramico oltre che vari mortai in pietra utilizzati per lavorare la manioca. Dalle datazioni del carbonio 14 si evince che questa antica civiltà amazzonica risale al 500 d.C. Secondo Heckemberger l’esploratore inglese Percy Fawcett potrebbe aver attraversato queste reti di villaggi, che probabilmente un secolo fa erano ancora utilizzati dai nativi. Poi tutto si perse, probabilmente ci furono delle epidemie (vaiolo) portate dai colonizzatori brasiliani e molti villaggi furono abbandonati.
L’ultima parola sulla fine di Fawcett e sugli enigmi della Serra do Roncador non è ancora stata detta. C’è ancora molto da studiare e da verificare sul campo in modo da poterci avvicinare alla verità di uno dei più grandi misteri del XX secolo.
YURI LEVERATTO
Inserito da Cristina Genna Blogger
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