Quei 3188 naufraghi sepolti in Europa e il mistero dei loro nomi

Quei 3188 naufraghi sepolti in Europa e il mistero dei loro nomi

Una ricerca ha individuato i nomi di alcune migliaia di migranti vittime del Mediterraneo. Dagli anni '80 i morti sono tra i 20 e i 30 mila

Quei 3188 naufraghi sepolti in Europa e il mistero dei loro nomi
di Giovanni Maria Bellu
Quante sono state le vittime del Mediterraneo? Non si conosce, e non si conoscerà mai, la risposta esatta. Esistono molte ipotesi ritenute attendibili, e accreditate dalle organizzazioni umanitarie, che si basano soprattutto sui casi segnalati dagli organi d’informazione. La cifra stimata varia tra i 20 e 30mila annegati dalla fine degli anni Ottanta a oggi.
Tre anni fa un gruppo di ricercatori, coordinati dall’università di Amsterdam, ha deciso di mettere assieme le morti registrate ufficialmente in Italia, Malta, Spagna, Gibilterra e Grecia partire dal 1990. Si parla dei casi in cui il corpo della vittima è stato recuperato in mare o è stato trovato in una spiaggia. L’idea era quella di aver un dato certo, inoppugnabile. Con la consapevolezza del fatto che – come purtroppo dice l’esperienza – il numero dei corpi recuperati è considerevolmente inferiore a quello degli annegati. Il risultato è stato che sono stati individuati 3188 casi di morti “certificate”. (I dati completi sono consultabili su www.borderdeaths.org).
 
 
 
 
 
Ma la ricerca, ricorda Giorgia Mirto (che con Amelie Tapella si è occupata della raccolta dei dati in Italia), aveva anche un altro obiettivo: capire quanti dei corpi ritrovati hanno avuto (o potranno avere) un nome. E se, dopo il ritrovamento, la pratica che si conclude con la sepoltura viene svolta in modo tale da conservare tutti gli elementi che anche in seguito possano consentire il riconoscimento da parte dei familiari. Tutti quelli che si occupano delle tragedie del mare sanno bene che le vere vittime dei naufragi non sono solo quelle dirette ma tutti i loro parenti che, in assenza di una tomba su cui piangere, non riescono nemmeno ad avviare l'elaborazione del lutto.
Una ricerca minuziosa, estenuante, dolorosa, fatta di ore trascorse negli uffici dei comuni, delle procure, dei tribunali e nei cimiteri delle città e dei paesi soprattutto della Sicilia meridionale, nel corso della quale Giorgia Mirto ha fatto molte scoperte. E ha maturato un sospetto, sostenuto da diversi indizi: che dietro il caos burocratico e la confusione assoluta, non ci siano solo la fretta, la sciatteria, l'inadeguatezza di una normativa elaborata per situazioni molto diverse, ma anche un piccolo e crudele business.
La procedutra e i corpi ritrovati - Ma andiamo con ordine. Giorgia Mirto è partita dalla ricostruzione delle procedure che ordinariamente vengono attivate quando viene trovato un corpo senza nome, il cadavere di uno sconosciuto, che sia su una spiaggia o in una città. Il primo atto è la segnalazione del ritrovamento alle forze dell'ordine le quali informano la procura della Repubblica che apre un fascicolo. E, a seconda dei casi (potrebbe esserci per esempio il sospetto che il corpo appartenga alla vittima di un omicidio), ordina degli accertamenti. Quando si concludono, l'autorità giudiziaria emette il nulla osta al seppellimento e lo comunica all'ufficio di stato civile del comune competente (quello dove è avvenuto il ritrovamento) che redige l'atto di morte e provvede all’inumazione.
Questa la procedura ordinaria. La prima scoperta che Giorgia Mirto ha fatto è stata che nella maggior parte dei casi di ritrovamento di corpi di migranti annegati questa procedura non viene seguita in alcun modo: la maggior parte delle morti, infatti, non viene registrata. Una circostanza che emerge con evidenza dal fatto che nei cimiteri le tombe dei migranti (identificate con numeri, nomi di fantasia etc) sono più dei certificati di morte presenti negli uffici dei comuni. Un’omissione grave. Il regolamento dello stato civile, mentre permette che un corpo venga inumato nel territorio di un comune diverso da quello dove è avvenuto il ritrovamento, stabilisce in modo tassativo l’obbligo di redigere l’atto di morte.

Eppure – per fare un esempio – nel comune di Siculiana sono state sepolte otto vittime del Mediterraneo. Quattro di loro erano state trovate nel territorio comunale, due a Linosa e due a Lampedusa. Ma nessuno di questi decessi è stato registrato in alcun registro di stato civile. Se poi si va in un altro comune, quello di Agrigento, si scopre che, su cento corpi tumulati, ci sono solo otto atti di morte, che sarebbero spettati a Lampedusa.
Il risultato è che i 3188 casi di morti nel Mediterraneo e “certificati” (dei quali i casi siciliani sono 927, 676 nella sola provincia di Agrigento) non sono soltanto una piccola parte delle vittime dei naufragi, ma non sono nemmeno tutte le vittime ritrovate. Paradossalmente verrebbe da dire che sono “casi fortunati”, almeno dal punto di vista dei familiari. I quali, in teoria, hanno qualche speranza di arrivare a ritrovare il corpo del figlio, del
marito, del fratello. 
Se

 

Inserito da Cristina Genna Blogger

 

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