L’istituto Luraschi è una ex-colonia montana INAM, quello che fu l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione per le Malattie, divenuto il Servizio Sanitario Nazionale nel 1977. L’edificio chiuse i battenti intorno alla fine degli anni ’70, e da allora è rimasto nello stato di conservazione di quel periodo, abbandonato agli elementi e mai più utilizzato. La struttura era un tempo un luogo in cui i bambini andavano a passare i periodi estivi educati dalle suore, ma le informazioni riguardo l’istituto sono ancora indisponibili su internet. Grazie alla fotografa e Urbex Roberta Resega entriamo in quel luogo un tempo affollato di giochi e vitalità, oggi ormai completamente dimenticati.
Segue il racconto della fotografa:
C’è da chiedersi come mai i luoghi abbandonati siano contesti di fascino e attrazione. Luoghi che vanno cercati, scovati e poi tenuti un po’ segreti, ovvero conservati nel loro incantesimo. Sono case, hotel, sanatori, scuole, palazzi, paesi interi. Luoghi che oltre all’abbandono hanno subìto la dimenticanza. Sono fermi nel tempo. Susan Sontag diceva che “la fotografia ha la funzione di placare l’angoscia”, già, e come mai quindi questi luoghi deteriorati diventano oggetto di seduzione per fotografi? Le crepe dei muri e la loro storia stimola nello spettatore-fotografo una sorta di eccitamento inspiegabile. La logica classica dell’estetico è violata, per essere sostituita da qualcosa di più profondo. E’ il poter vedere ciò che accade dopo la fine e, con la fotografia che cattura e “immortala”, prenderne parte e controllo.
Camminare lungo i corridoi bui di un palazzo in decadenza sollecita un incontro con le proprie parti più perturbanti, eppure, con in mano la propria Canon, ogni passo diventa percorribile poiché mediati da un oggetto avente “funzioni magiche e protettive” (pare funzioni anche con Nikon e altre, ma va verificato). Fondamentalmente ciò che si cerca in questi percorsi a ritroso è il legame con il passato, con ciò che non esiste più, con la memoria e il superamento della perdita. Gli oggetti più emozionanti di questo luogo sono proprio quelli che esprimono la presenza dell’umano, l’essere stati abitati, toccati e utilizzati. Forbici, banchi, materassi, madonnine sui comodini…tutto ciò che sta a rappresentare la semplice quotidianità. Andare in quei luoghi è forse come andare in mondi esclusivi, motivo per cui non devono essere troppo “pubblicizzati”. Come se assistere a quegli spettacoli spettrali, fosse un privilegio di pochi. O forse un modo per pensare che le immagini catturate possano offrire davvero un superamento dell’angoscia di fronte all’abbandono, rendendo “vivo” ció che non lo è più.
Tutte le fotografie sono state realizzate e di proprietà di Roberta Resega.
Inserito da Cristina Genna Blogger
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